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Unità: Disastro scuola. Sale la protesta contro i danni della Gelmini

Scuola nel caos. Sindacati in piazza il 10 e il 14. Monta la protesta contro i tagli previsti da Tremonti e Gelmini. Le tappe di una riforma pensata solo per portare 8 miliardi al Bilancio e ridare prestigio alle private.

05/09/2009
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l'Unità

LAURA MATTEUCCI

Lunedì a Bologna si festeggia la riapertura di una scuola materna di periferia tagliata dal governo e finanziata dal Comune. La Regione Lazio stanzia quasi 60 milioni in tre anni per realizzare 5mila nuovi posti nei nidi aziendali e comunali. Nelle sedi regionali di tutta Italia si tengono incontri al vertice per definire (im)possibili reinserimenti e ammortizzatori sociali per le migliaia di docenti, tecnici e amministrativi che da quest’anno - oltretutto in piena crisi economica - non hanno più un posto di lavoro, nè fisso nè precario. Si fa da sè, cercando di limitare i danni della «riforma Gelmini», che per la scuola pubblica prevede solo tagli, al personale e ai finanziamenti, «ammantati di giustificazioni di efficientismo, razionalizzazione e addirittura formative e pedagogiche», come dice Domenico Pantaleo, segretario della Flc Cgil, che si occupa di scuola. Più passano i giorni più la protesta sale. Un gruppo di precari di Roma, emuli dei colleghi di Benevento, è salito sul tetto dell’ufficio scolastico provinciale. Ovunque provveditorati occupati, cortei, insegnanti in catene e in mutande, mentre opposizione, sindacati, organizzazioni di docenti e di studenti si preparano ad una mobilitazione estesa e determinata. Sui siti rimbalza il «no Gelmini day», che prevede per oggi manifestazioni in decine di piazze. L’onda nata dopo i primi annunci del governo, era il giugno 2008, è pronta a ricomporsi, anche perché, se non ha travolto la «riforma», è riuscita nel corso di quest’anno almeno ad ostacolarla, rallentarne l’attuazione, e a produrre alcuni aggiustamenti di rotta. Quest’anno si parte «solo» con la scuola dell’obbligo, per le superiori se ne riparla nel 2010.

PRIMO: TAGLIARE

Nel 2008 Giulio Tremonti, appena riconfermato superministro all’Economia, convoca la collega all’Istruzione Mariastella Gelmini e le impone tagli per circa 8 miliardi in tre anni: tradotto, significa una riduzione di 87.400 docenti e 44.500 tra tecnici e amministrativi. Solo quest’anno, si tratta di 42mila docenti e 15mila non docenti, che a valanga travolgono i precari del settore, 18mila insegnanti senza più supplenze e 7mila del personale Ata senza lavoro. Del resto, il testo della prima «riforma» è chiaro: ritorno al maestro unico alle elementari, passando da un’offerta didattica di 40 ore ad una di 24 (anche se la protesta ha indotto Gelmini a ripiegare poi sul «maestro prevalente»), riduzione drastica dell’orario scolastico in tutte le scuole nonchè dei possibili indirizzi alle superiori, eliminazione di fatto delle compresenze degli insegnanti, uno degli elementi più innovativi del nostro sistema. Anche il sottotesto è evidente: impoverire la scuola pubblica per legittimare quella privata, che il governo Berlusconi intende foraggiare in misura sempre crescente. Da nord al sud scoppia la contestazione, che si allarga alle università, con il rettore della Statale di Milano, Enrico Decleva, che spiega: «Intollerabile il taglio di 470 milioni tolti all’università per coprire l’abolizione dell’Ici». Partono azioni giudiziarie, e la Corte dei Conti sentenzia sulla insindacabilità dell’autonomia scolastica. Gelmini è costretta a qualche passo indietro, ma il disastro che porta il suo nome resta tutto.

IL DANNO

Gelmini adesso straparla di premi di carriera ai migliori docenti e agli studenti meritevoli: non un di più in un sistema formativo solido e solidale per tutti, ma il criterio unico in un sistema che premia pochi e lascia indietro (o in mezzo a una strada) la maggior parte. Sindacati e Rete studentesca si stanno mobilitando, la Cgil ha già in calendario una serie di iniziative, le prime il 10 e il 14 per l’apertura dell’anno, e l’intenzione di mettere a punto una piattaforma comune con Cisl e Uil. «Sia chiaro, non stiamo parlando di una riforma, di una riorganizzazione seria - chiude Pantaleo - ma solo di come attuare dei tagli. Non c’è alcun investimento, e non vengono valorizzate nemmeno le esperienze didattiche più importanti, all’avanguardia in tutta Europa».