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Unità-E ancora dimenticano la scienza

di Giunio Luzzato L'intero intervento di Clara Sereni, "E se ricominciassimo dalla cultura?" (l'Unità, 3 agosto), identifica la "cultura" con la sola cultura letteraria. Per mostrare che è possibil...

14/08/2005
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l'Unità

di Giunio Luzzato
L'intero intervento di Clara Sereni, "E se ricominciassimo dalla cultura?" (l'Unità, 3 agosto), identifica la "cultura" con la sola cultura letteraria. Per mostrare che è possibile interessare intere città ai fenomeni culturali, l'articolo cita i Festival di Roma e di Mantova; ignora i Musei e le Città della Scienza che si stanno moltiplicando e il Festival della Scienza che in due successive edizioni ha già visto a Genova decine di migliaia di presenze, con biologi, fisici, filosofi della scienza capaci di dialogare uscendo dalla torre d'avorio dell'accademismo.
Non intervengo per polemizzare, in particolare, con Clara Sereni (le cui considerazioni generali condivido in larga misura), né più in generale con questo giornale: al contrario, ho sempre apprezzato il fatto che l'Unità è tra i pochi quotidiani che danno un discreto spazio a tematiche scientifiche, con gli ottimi articoli di Pietro Greco e con altri servizi e recensioni. Ma proprio il fatto che in un ambiente aperto a queste tematiche si possa ancora ritenere che la "cultura" è altro dimostra quanto sia lunga la strada da percorrere, anche a sinistra, per non far considerare le scienze un'area a sé, magari nobile ma isolata se non esoterica. Due giorni dopo l'articolo sopra ricordato vi è stata una conferma: un'intervista al Venerdì di Repubblica di Angelo Guglielmi, qualificatissimo organizzatore culturale prima ancora che Assessore al settore al Comune di Bologna, spaziava su più di un secolo di letteratura, di storia e di televisione, ma toccava un tema scientifico solo per interpretare la "relatività" einsteiniana secondo il più errato stereotipo delle "certezze che non ci sono più".
Nelle passate settimane, ci siamo tutti interrogati sulle cause della maggioranza di astensioni che ha fatto fallire il referendum sulla fecondazione assistita. Ebbene, la spiegazione più condivisa si riconduce proprio all'assenza di cultura scientifica; in molte interviste, i non votanti affermavano di sentirsi impreparati sul tema, e incapaci di formarsi un'opinione proprio perché privi di conoscenze di base. Pochi esempi quanto questo valgono a far comprendere che la diffusione di una solida cultura scientifica è addirittura condizione per la pienezza della vita democratica.
Uscire in modo del tutto soddisfacente da questa situazione richiede tempi lunghi; si tratta di superare, anzitutto da parte degli "intellettuali", separatezze e chiusure. Cruciale è il ruolo della scuola: ma, anche lì, non basta gridare contro la becera cancellazione di Darwin (a proposito, la Ministra ha sbandierato da mesi il ripristino dello studio della teoria dell'evoluzione, ma al momento il decreto correttivo non c'è, e formalmente siamo ancora nella fase dell'oscuramento). Occorrerebbe non solo dare quantitativamente più spazio alle materie scientifiche, ma connetterle con le altre, tener conto degli sviluppi del pensiero scientifico quando si studiano la storia e la filosofia, preparare i giovani a scrivere una relazione su un esperimento di laboratorio come li si prepara a commentare un romanzo o una poesia. È ovvio che, se a tutto ciò si porrà mano con un forte impegno oggi, i risultati positivi si diffonderanno nella società tra qualche lustro: è un buon motivo per cominciare subito...
Nell'attesa, per ottenere almeno miglioramenti parziali è intanto cruciale il ruolo dei mezzi di comunicazione, e torniamo così ai punti sollevati all'inizio. Si tratta, certo, di estendere l'informazione scientifica, ma soprattutto di inserirla pienamente nel contesto delle tematiche culturali, sociali ed anche (si veda l'esempio del referendum) politiche.
Si tratta anche di considerarla per il suo valore in sé, e non solo in funzione di altro. Quando giunge la notizia di una importante scoperta, abitualmente l'intervistatore non domanda all'autore che cosa essa aggiunga alla nostra comprensione del mondo, ma solo quali siano le immediate applicazioni pratiche; a nessuno verrebbe invece in mente di chiedere all'autore di un bel libro di poesie "a che cosa servono?".