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Unità-È finita l'epoca dei bassi salari

È finita l'epoca dei bassi salari I sindacati avvertono governo e Confindustria: i lavoratori hanno già pagato Felicia Masocco ROMA Tre milioni e mezzo di dipendenti pubblici, trec...

09/08/2004
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l'Unità

È finita l'epoca dei bassi salari

I sindacati avvertono governo e Confindustria: i lavoratori hanno già pagato

Felicia Masocco

ROMA Tre milioni e mezzo di dipendenti pubblici, trecentomila bancari, centoventimila autoferrotranvieri, per loro la partita per avere il contratto è già iniziata e si è capito che non sarà nè facile nè breve. Con il 2005 scenderanno in campo altri due milioni e mezzo di lavoratori dell'industria (metalmeccanici, chimici, alimentaristi, per citare le maggiori categorie) i cui contratti scadono in dicembre. E saranno ugualmente impegnati a difendere il potere d'acquisto delle retribuzioni.
Mai come in questa stagione politica e sociale la questione salariale è venuta alla ribalta con tanta prepotenza, non almeno in tempi recenti. Per dieci anni, infatti, il protocollo del luglio '93 su cui si basano l'attuale modello contrattuale e la politica dei redditi aveva messo la sordina alle rivendicazioni sindacali e oggi sono in molti a dire che si è trattato di un decennio di moderazione salariale. Era il prezzo del biglietto di ingresso in Europa, si è detto. E sembra passato remoto.
Oggi l'inflazione viaggia sul 2,4%, e il governo si ostina a "programmarla" al ribasso: all'1,6% per il 2005 e all'1,5% per il 2006. Oggi prezzi e tariffe non sono sotto controllo, la politica dei redditi è stata ignorata nell'azione dell'esecutivo che, peraltro, si è mostrato incapace di governare i processi economici del Paese. È su questo terreno che si gioca la partita dei contratti e il primo elemento che si ricava è che la moderazione salariale non può più essere l'arbitro. Lo dicono i sindacati, Cgil, Cisl e Uil, gli stessi che undici anni fa firmarono con Ciampi e le associazioni delle imprese il protocollo di luglio. E dicono che per nessun contratto terranno conto del tasso di inflazione programmata, ferocemente osteggiato. Dunque questo parametro è superato, disconosciuto. Non a caso i contratti rinnovati di recente hanno tutti puntato ad andare oltre, e a maggior ragione lo faranno i contratti da rinnovare. Il pubblico impiego chiede aumenti per l'8%: il 2,4% di inflazione per quest'anno, il 2,2% per il prossimo, l'1% di produttività e il 2,4% per il recupero dello scarto tra inflazione programmata e reale nel biennio scorso. Totale, circa 140 euro lordi mensili in più. I bancari che hanno proclamato tre giornate di sciopero a partire da settembre chiedono aumenti per il 7,2% (180 euro) e contestano i calcoli dell'Abi disposta ad offrire il 5,2% per il biennio 2004-2005. Gli autoferrotranvieri chiedono 120 euro in più, ma la trattativa in corso sembra la fotocopia di quella che nel dicembre scorso portò una valanga di scioperi e la paralisi del Paese.
Non perde invece tempo il prezzo del petrolio che promette rincari a raffica su tutti i beni di consumo, mentre a tagliare il Welfare, i servizi locali, ci ha pensato il governo alzando la scure sui trasferimenti agli enti locali. I sindacati affilano le armi. "Non faremo riferimento all'inflazione programmata - afferma Carla Cantone segretaria confederale Cgil -. Deve saperlo il governo, ma è giusto che lo sappiano anche le imprese", controparte di un esercito di lavoratori dei settori privati. "Chiederemo aumenti il più vicini possibile all'inflazione reale perché, purtroppo, visto che è stata cancellata la politica dei redditi dobbiamo arrangiarci con l'unico strumento che abbiamo, cioè i salari". Per la Cgil il 2005 "non sarà semplice, ci saranno forti tensioni perché - spiega Cantone - ci saranno 2 milioni e mezzo di lavoratori dell'industria che reclameranno il contratto e dal momento che i loro salari non sono stati tutelati non possono attenersi alle regole esistenti". Per la Cgil, inoltre c'è anche il problema della produttività che in questi anni non è stata redistribuita: "Ci penseranno le categorie, autonomamente, a rivendicarla", conclude Cantone. Per ora è così, sui contratti del futuro invece è aperto il confronto tra Cgil, Cisl e Uil. Anche il segretario confederale della Cisl Giorgio Santini definisce "inattendibile" l'inflazione programmata: "Ci atterremo ad un'inflazione prevedibile". Per la Cisl è stato il governo ad "abbandonare" il meccanismo in base al quale sono stati rinnovati i contratti, "è stato un errore, non possiamo che prenderne atto e fare in modo che i salari non vengano taglieggiati dall'erosione del caro-vita". E anche le altre "controparti" devono sapere "che ci sono tensioni per la tenuta dei redditi dei lavoratori dipendenti, noi dobbiamo sostenerli. Credo che avremo dei problemi", conclude. Per Paolo Pirani, segretario confederale della Uil, il tasso di inflazione programmata "non è solo irrealistico, ma inutile. È un tentativo teso soprattutto a colpire i contratti del pubblico impiego su cui il sindacato ha già sviluppato iniziative di mobilitazione e di lotta e proseguirà con tutti gli strumenti a disposizione". È evidente, per Pirani, che il potere d'acquisto "non è tutelato da questi falsi obiettivi contenuti nel Dpef". Quindi "il riferimento al tasso di inflazione programmata è alle nostre spalle. Il nostro riferimento guarda all'inflazione reale".