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Unità: Ecco come viene smontato pezzo a pezzo l’Articolo 18

L’arbitro al posto del giudice, il principio di equità, i contratti d’assunzione in deroga a quelli nazionali collettivi. Ecco le principali «picconate» del governo all’Articolo 18 nella legge votata mercoledì in Senato.

05/03/2010
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l'Unità

Giuseppe Vespo

Perché non dirlo apertamente che vogliono cancellare l’articolo 18, perché aggirare il problema in modo così «rozzo e insidioso». Così Umberto Romagnoli, professore emerito di Diritto del lavoro all’Università di Bologna, commentava lo scorso 21 febbraio il «tentativo di mangiucchiare l’edificio normativo dello Statuto dei lavoratori e dell’articolo 18». Oggi quel tentativo è legge. L’ARBITRO Ecco cosa cambierà. Nelle future cause di lavoro, la possibilità-obbligo di affidarsi ad un arbitro piuttosto che al giudice, avverrà in due modi: in primo luogo attraverso i contratti collettivi, sottoscritti da sindacati e imprenditori. In questo caso le parti avranno solo un anno per accordarsi sui limiti entro cui l’arbitrato può essere utilizzato. Scaduto il tempo, sarà il ministro ad intervenire per decreto. È previsto poi che i datori di lavoro possano utilizzare, al momento dell’assunzione, un contratto in cui si stabilisce che eventuali contenziosi verranno risolti da un arbitro e non dal magistrato. E quale sarà quel giovane in cerca di lavoro che si opporrà a questa costrizione? In questo caso, tra l’atro, il contratto preparato dal datore di lavoro potrà prevedere anche norme diverse da quelle contenute nei contratti collettivi nazionali, a patto che ottenga la certificazione di un ente bilaterale (costituito da sindacati e imprenditori).«Ma quale sindacalista può mai accettare di far assumere un lavoratore con un contratto diverso da quello nazionale di categoria? », domanda Fulvio Fammoni, segretario confederale della Cgil. La legge votata mercoledì dal Senato, pone inoltre un problema sul rispetto delle norme che regolano il diritto del lavoro: nel giudicare le future cause, l’arbitro farà appello al cosiddetto principio di «equità». Vuol dire che nel caso di un licenziamento potrà non tenere conto di leggi come l’articolo 18 o di contratti collettivi, ma baserà le sue valutazioni su quanto scritto nel contratto «certificato». Lo stesso giudice, qualora venisse chiamato in causa, dovrà attenersi a quanto sottoscritto dalle parti. L’« equità» sarà invocata non solo in tema di licenziamenti, ma anche per le ferie, la sicurezza sul lavoro, i turni. In entrambi i casi - secondo chi sostiene che la legge servirà a snellire i tempi dei processi di lavoro, che saranno tolti di fatto ai tribunali - sarà fondamentale il peso dei sindacati nella contrattazione e all’interno degli enti che dovranno certificare i contratti. Ma sia la Cisl sia la Uil hanno evitato di polemizzare col governo, sminuendo il peso della nuova legge. Resterà solo la Cgil, che ha già promesso battaglia: ricorrerà alla Corte Costituzionale («facciano pure ricorso», dice Sacconi), distribuirà ai lavoratori un vademecum sui diritti e assicurerà tutela legale. E la difesa dell’articolo 18 sarà uno dei temi della mobilitazione del 12 marzo. Anche il Pd non starà a guardare: «Il governo sta smantellando il protocollo del 2007 sul welfare e le normative di Industria 2015 - dice l’ex ministro Cesare Damiano - due leggi del governo Prodi per combattere la precarietà e sostenere lo sviluppo. Ci auguriamo che si sviluppi una mobilitazione politica e sociale».