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Unità: Epifani: Crisi tremenda, lo Stato aiuti tutti, non solo le imprese

Troppo comodo pensare che il sindacato sia morto. Chi lo pensa avrà presto una sorpresa molto, molto amara.

01/11/2008
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l'Unità

Confindustria ha cambiato idea, ma se torna l’intervento pubblico deve coinvolgere tutti, anche le famiglie. La Cgil non fa tappezzeria, il rinnovo del contratto degli statali è un errore, impoverisce i lavoratori: l’aumento è metà dell’inflazione

Ventiquattr’ore non proprio ordinarie per Guglielmo Epifani. Prima una grande manifestazione che ha visto il sindacato, unito, risorgere. «Non è mai morto, chi lo pensa avrà un’amara sorpresa», risponde il leader della Cgil. Subito dopo, lo sbriciolarsi dell’unità con Cisl e Uil nel pubblico impiego sotto i diktat del governo. «Ha paura della nostra forza, punta lucidamente a dividerci come nel 2001». Poi gli effetti della crisi sull’economia reale raccontati dagli operai della Fiom riuniti a Roma. Chiusure e cassa integrazione a valanga. «Se lo Stato deve tornare, deve tornare per tutti, non solo per le banche e le imprese. Ma finora si è preoccupato solo di loro», attacca Epifani che annuncia le sue proposte contro la crisi. Infine Alitalia.

Riesplode il caso Alitalia. È colpa dei sindacati?

«Anche se non sono stati rispettati tutti i patti abbiamo siglato il testo».

I patti non sono stati rispettati?

«Non tutti. Ma la categoria, cui spetta questa scelta, ha firmato. Ora la Cai chiarisca cosa vuol fare. C’è bisogno di trasparenza».

Sta succedendo di tutto, solo la crisi resta dov’è con tutto il suo potenziale distruttivo. Dopo le banche anche le imprese rovesciano una teoria a loro cara, il “meno Stato più mercato” ora non conviene. Invocano l’intervento pubblico. Il sindacato che fa, guarda?

«Il 5 novembre presenteremo le proposte della Cgil per una terapia contro la crisi. Partiamo da una premessa, la crisi avrà effetti eccezionali, ci vogliono terapie eccezionali. Non condividiamo né il basso profilo che tiene il premier, né la scelta di Tremonti di non toccare la Finanziaria. Chiediamo un cambio di rotta, vuol dire mettere a disposizione risorse per sostenere consumi e redditi e, in questa fase, strumenti eccezionali di ammortizzatori sociali».

Più Stato per tutti?

«Se deve tornare, deve tornare per tutti, non per qualcuno soltanto. Proporremo al Paese e alle forze politiche e sociali, un manifesto in 6 punti per una terapia choc contro la crisi. Il governo finora si è preoccupato del rapporto con le banche e fin qui era comprensibile, e poi soltanto delle imprese. A tutt’oggi è mancato qualsiasi confronto con il sindacato sulla crisi e le sue conseguenze sui lavoratori e pensionati. Noi rifiutiamo il ruolo del sindacato “tappezzeria” buono a risolvere i problemi di Alitalia o quelli delle centinaia di crisi aziendali, e non a fronteggiare una crisi di questa portata».

È più difficile non fare da tappezzeria quando si è divisi. Si dice che voi, Cgil, abbiate la “sindrome” degli accordi. Perché non avete firmato il protocollo sul pubblico impiego?

«Perché gli aumenti sono la metà dell’inflazione, siamo in presenza di una politica che riduce le retribuzioni reali; non c’è nessuna qualità sul secondo livello e sulla produttività; nessuna risposta ai precari e ai posti di lavoro che saltano. E la stessa restituzione del maltolto è in realtà diversa da come viene presentata».

Brunetta contesta le vostre cifre.

«Il tempo è galantuomo e lo dirà. C’è poco da contestare: l’aumento è poco più di 3% già inferiore all’inflazione di quest’anno. Mettendo insieme l’inflazione di quest’anno con quella dell’anno prossimo e il mancato recupero del drenaggio fiscale, gli aumenti copriranno un terzo dell’aumento del costo della vita».

E pensare che poche ore prima della rottura, sulla scuola il sindacato unito ha dato prova della sua capacità di aggregazione, di essere punto di riferimento per la società civile. Che sintesi trae delle ultime 24 ore?

«Non a caso il governo punta a dividere il sindacato, perché ha paura di una protesta che sale nel Paese, ha paura delle piazze come quella di ieri (giovedì, ndr). Il governo ha lucidamente puntato a dividere il sindacato dall’inizio, secondo uno schema già proposto nel 2001. Noi abbiamo la coscienza pulita, ce l’abbiamo messa tutta perché questo non avvenisse ma bisogna essere in tre a volere l’unità».

Non è stata la Cgil a rompere?

«È stato il governo e chi ha accettato meno della metà dell’inflazione reale per i lavoratori».

Lei usa toni garbati. Eppure ormai è chiaro che Cisl e Uil le hanno girato le spalle. Nel terziario, ad esempio, Confcommercio è disponibile a riaprire il contratto (separato) e Cisl e Uil dicono no. Fanno muro anche sulla riforma dei contratti. Immagino si sia chiesto perché...

«Siamo di fronte a una pagina molto buia. Per ragioni a me incomprensibili si cerca di non lavorare per l’unità con la Cgil. Questo è visibile. Se la Confcommercio è disponibile a riaprire il contratto e Cisl e Uil di categoria dicono di no, è chiaro che c’è qualcosa che non torna. Anche sui pubblici abbiamo tenuto l’unità fino all’ultimo, ma non c’è stata la possibilità di negoziare perché con questo governo non si negozia, procede per diktat a cui qualcuno si piega e qualcuno non si piega. Non c’è stata una vera trattativa».

Ma ora volano insulti contro di voi. Non vi scappa di rispondere?

«Non dobbiamo reagire chiudendoci in una logica identitaria e autosufficiente. Dobbiamo essere una forza confederale che si apre, non abbiamo nemici o avversari all’interno del sindacato. Per questo non rispondiamo agli insulti. Anche perché chi insulta di solito non ha argomenti, noi ne abbiamo da vendere».

Torniamo alla scuola. La vertenza resta aperta, con molte incognite per il futuro del movimento. Al brutto episodio di piazza Navona hanno fatto seguito le parole di Maroni. “Larvate minacce”, per lei. È preoccupato?

«Non si risponde alla piazza, peraltro così pacifica, con questa modalità. Si rischia di avvelenare il clima che ora è positivo. Si pensi ad isolare i casi i violenza che ci sono stati, ma lo si faccia prima non dopo».

È in voga dire che il sindacato sia distante dai lavoratori. Dall’assemblea di 5mila metalmeccanici Fiom non si direbbe. Ancor meno guardando alle manifestazioni di giovedì. Ma ora che è diviso? «Non c’è dubbio che un sindacato diviso abbia più problemi, non a caso il governo lavora alla divisione. Ma chi pensa che il sindacato non abbia radici, sbaglia. Ieri (giovedì) non è risorto il sindacato, per il semplice motivo che non era mai morto. Troppo comodo pensare che il sindacato sia morto. Chi lo pensa avrà presto una sorpresa molto, molto amara».

Andrete allo sciopero generale? In fondo lo hanno già programmato le due più grandi categorie di lavoratori, la Fiom e la Fp. Si può estendere ?

«Si deciderà a tempo dovuto, lo deciderà il direttivo e nessun altro e prima bisogna avere una piattaforma per il Paese. Non si fa uno sciopero generale perché lo chiede questa o quella categoria. Uno sciopero generale è uno sciopero di tutti».