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Unità: Epifani: «Manovra equa ora vediamo la finanziaria»

pur nei piccoli numeri si corregge il disavanzo, si combatte l’evasione, si fa un passo avanti sulla riforma degli ordini e non si mortificano le opere pubbliche. Ma anche un allarme: non si può tagliare sulla contrattazione del pubblico impiego

01/07/2006
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l'Unità

MOTIVI DI SODDISFAZIONE per il segretario della Cgil: pur nei piccoli numeri si corregge il disavanzo, si combatte l’evasione, si fa un passo avanti sulla riforma degli ordini e non si mortificano le opere pubbliche. Ma anche un allarme: non si può tagliare sulla contrattazione del pubblico impiego. «Si corregga»
«S
ono di ritorno da Lamezia Terme, sono molto soddisfatto. Per la prima volta una donna è segretario generale della Cgil in una regione chiave del Mezzogiorno. Una donna in Calabria, ha un grande significato...». Guglielmo Epifani non nasconde l’approvazione per l’elezione di Vera Lamonica. E neanche quella per la manovra bis appena varata dal governo. «Sulla politica fiscale l’inversione di rotta è netta», «c’è equità nelle scelte», «dovrà esserci anche in Finanziaria». Bene anche le misure sulla competitività. «Non quella sul pubblico impiego». Il leader della Cgil la boccia senza appello «nel metodo e nel merito». «Si fa pagare una parte della manovra ai lavoratori pubblici. Va corretta». E si deve discutere dei tassisti.
Allora Epifani, si dice che l’impronta del sindacato sia ben visibile su questa manovra. Soddisfatto?
«Su quasi tutto. È un’operazione che corregge una parte del disavanzo dei conti del 2006, con particolare equità nelle scelte fiscali, con un’attenzione per i problemi più urgenti di investimenti pubblici. E con una politica di riforma anche coraggiosa che liberalizza dalle tariffe di alcuni ordini professionali, alla vendita dei farmaci...
...e suscita l’ira dei tassisti, anche della Cgil.
«C’è anche questo e si dovrà discutere. Ma andiamo per ordine. Per noi era importante partire con un segno di lotta all’evasione e all’elusione fiscale e l’operazione sul recupero del gettito dell’Iva va in questa direzione. Il primo atto della politica fiscale di questo governo segna una reale controtendenza rispetto alle scelte fiscali del centrodestra. La parte del paese che l’aveva fatta franca, con questa manovra invece paga. Si recupera gettito non aumentando l’Iva ma con la riduzione dell’area dell’elusione. Dovrà essere così anche con la Finanziaria».
Ritrova il paradigma risanamento, sviluppo ed equità su cui battete?
«Si interviene anche sull’Anas e le Ferrovie, pur con il bilancio disastroso lasciato dal centrodestra non si asciugano gli investimenti. È un buon segnale perché oltre ai danni alle opere, ai cittadini, sarebbe venuto a mancare lavoro. Ci sono risanamento equità e sviluppo».
Non è tutto un po’ bonsai? La correzione del deficit ad esempio.
«Diciamo che nel piccolo dei numeri la manovrina rispetta l’impianto. Anche i provvedimenti voluti da Bersani vanno nel senso giusto».
Berlusconi emanò un decreto-competitività e sembrava fosse la cura per ogni male. Qual è la differenza con questo?
«Il provvedimento di Berlusconi è stato un buco nell’acqua, lo dicevamo e così è stato. Ora c’è una volontà di rendere più competitivo e aperto il sistema. Per quanto riguarda gli ordini professionali si va incontro ai giovani. Sappiamo le resistenze degli ordini. Però si tenta di consentire a un giovane professionista di stare sul mercato anche aldilà della tariffa minima previste. Poi so bene che ci saranno problemi. Penso ai tassisti...
Che la chiamano in causa. La Filt-Cgil è contraria alla misura. Come la giustifica? Va corretta?
«Spesso tra domanda e offerta ci sono dei problemi, basti pensare alla situazione di Roma, alla difficoltà a trovare un taxi, o a quella di Fiumicino. Si vede che l’offerta non è ben regolata. Da qui capisco l’apertura del governo. Ma conosco la forte preoccupazione dei tassisti. Temono che con la liberalizzazione possa intervenire una forma di impresa che riduce la loro l’autonomia e che possa esserci una concorrenza indiscriminata al ribasso. È un principio che andrà studiato con attenzione per capire se si tratta di una risposta difensiva, oppure è un timore fondato. E in questo caso vedere come tenerne conto».
Non c’è la tassazione delle rendite e c’è un intervento sulle stock option. Come lo legge?
«Ha un forte carattere simbolico. Si riduce un vantaggio indiretto di retribuzione legato alle stock option. Nel capitalismo di oggi va molto di moda l’utilizzo di questa forma di remunerazione del management che però allarga la sproporzione con il reddito dei lavoratori dipendenti. Secondo me la misura va in direzione dell’equità all’interno del sistema di impresa. E credo in prospettiva riapra il discorso sulla tassazione delle rendite finanziare».
Una nota dolente, la norma sui contratti pubblici. Vi era sfuggita o cosa?
«Non va proprio bene e nessuno ne ha parlato negli incontri avuti. Si interviene sulla contrattazione integrativa di ministeri, agenzie fiscali ed enti pubblici riportando le risorse disponibili alla contrattazione integrativa al livello del 2004. In più si espone il negoziato ad interventi unilaterali della Ragioneria dello Stato e della Corte dei conti. Si fa pagare al lavoro pubblico una parte della manovra, per 600 milioni. Non condividiamo né il merito né il metodo, non può costituire precedente e va corretto».
Il 7 luglio verrà presentato il Dpef. La vostra è un’attesa preoccupata perché i saldi sono quelli che sono. Vi siete detti disponibili a discutere. Sulle pensioni si vocifera di uno scambio tra l’anticipo della riforma del Tfr e la cancellazione dello scalone con l’innalzamento dell’età pensionabile ad esempio per le donne. Tutte invenzioni?
«Non andremo a trattare sulla base di scambi, anche sul terreno previdenziale. È evidente che bisogna correggere i conti pubblici. Dal centrodestra abbiamo ereditato l’aumento del debito pubblico e l’azzeramento dell’avanzo primario. Ci sono rischi di solvibilità sui mercati internazionali. E incombono i giudizi delle agenzie di rating. Bisogna stare molto attenti, il problema del risanamento va posto. Però quando si prova a fare questa operazione insieme allo sviluppo e all’equità ci si accorge che la manovra diventa difficile. Sta qui la nostra intenzione di andare a verificare con i tavoli di confronto il contenuto della Finanziaria. Non si tratta di proporre una logica di scambi, ma di misurarsi, se ci riusciamo, con proposte in grado di affrontare la strada del risanamento senza la pesantezza che una manovra di queste dimensioni può avere su servizi pubblici fondamentali. Quindi il nostro è un gesto di responsabilità che non nega l’esistenza del problema ma dice in premessa che la via da costruire è complessa. E invita il governo a riflettere bene sulla sopportabilità di una manovra di queste dimensioni».
Con Cisl e Uil avete annunciato che procederete insieme. Avete già deciso come?
«C’è una volontà unitaria, di una valutazione comune sul Dpef e di costruzione di una griglia di posizioni unitarie. È positivo, rafforza il peso del sindacato in questa fase complessa. Vogliamo pesare nelle scelte, per il governo sarà più difficile dirci di no. Stare insieme per noi è impegnativo, ma è anche un chiaro messaggio all’esecutivo».
Come nel ‘92 anche oggi l’ala sinistra della Cgil non è d’accordo con la concertazione e chiama la mobilitazione. Come gestirà questa dialettica nel suo sindacato?
«Intanto voglio dire che abbiamo chiesto al governo - e ci aspettiamo che così sia - che nel Dpef venga assegnata un’inflazione vicinissima a quella reale. Oggi la tendenziale sta al 2,3%. Quanto alla Cgil, l’orientamento di fondo della stragrande maggioranza è univoco e determinato. Non ha senso parlare di mobilitazione di fronte ai primi atti che, eccezione per il pubblico impiego, sono positivi. Il governo sa che non diremo sì a priori. La nostra sarà una posizione di trasparenza e rigore. E penso che debba essere unitaria».