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Unità: Epifani: «Mettiamo a tavola temi e tempi per discutere...»

Il segretario della Cgil anticipa le priorità, dall’economia al welfare, alle pensioni, e sollecita un calendario preciso per l’avvio della concertazione

21/01/2007
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l'Unità

Epifani: «Mettiamo a tavola temi e tempi per discutere...»

STASERA A CENA con il governo i leader sindacali. Il segretario della Cgil anticipa le priorità, dall’economia al welfare, alle pensioni, e sollecita un calendario preciso per l’avvio della concertazione. Intanto sottolinea il valore del memorandum sottoscritto a proposito di pubblica amministrazione

Argomenti e problemi. Guglielmo Epifani, segretario della Cgil, spera che la “cena” di stasera con Prodi e con «mezzo governo», ospiti assieme a lui gli altri leader sindacali, si chiuda con un impegno chiaro, un impegno che dica argomenti e temi all’ordine del giorno e un calendario sicuro. Dall’economia alle pensioni, dalle liberalizzazioni al mercato del lavoro... Il via vero alla concertazione. Tutto secondo la categoria dell’innovazione.
Epifani, cominciamo da un titolo della “ Stampa”: «Montezemolo: sfida sulle riforme. Industriali pronti alla gara col governo, vedremo chi è più innovativo».
«Scrivere di una sfida tra governo e Confindustria fa parte di modalità un po’ teatrali della rappresentazione dei problemi del paese. La verità è che ognuno dovrebbe pensare a sè. Vale per il governo che ha molto da fare e ha molti problemi non risolti. Vale per Confindustria che è sempre più una lobby dilatata in una complessità di interessi che fatica a conciliare. Vale anche per il sindacato che deve costruire una posizione unitaria...».
Con un traguardo: innovare.
«Gira un’idea di innovazione senza contenuti, di una modernità senza progetto: è un mito da sfatare. Il paese ha bisogno di innovare, ha bisogno di una democrazia più robusta, di una impresa in grado di competere, di una amministrazione pubblica più efficiente... Ma sono traguardi che si raggiungono con il lavoro continuo, con i fatti e con il consenso, consenso che si guadagna di fronte a progetti chiari e a volontà seria di discuterli... Il paese e, con il paese, il sindacato escono da una gestione molto tormentata della Finanziaria, tra luci, perchè la Finanziaria dà un grosso contributo al risanamento della finanza pubblica, e ombre, come dimostra tanto malessere diffuso. Per questo bisogna che il governo riparta con tavoli di confronto, che si definiranno nei prossimi giorni con le parti sociali. Comunque la si voglia chiamare, la fase che si apre è quella decisiva per le sorti del governo e per una parte del paese stesso».
Che dovrà capire, ad esempio, quanta sostanza contengano i segni di ripresa economica. Da che cosa ripartire?
«Da una politica che sia in grado di rafforzare lo sviluppo. Usciamo da anni di declino. La tendenza si è invertita. Ma è ancora poco. Allora l’obiettivo dovrebbe essere costruire con il sistema delle imprese le condizioni perchè la fase positiva sia più ampia e solida. E quindi costruire una politica che apra i mercati, dia corso alle liberalizzazioni creando concorrenza, salvaguardi i beni pubblici fondamentali, ammoderni le infrastrutture, iniziando dalla rete ferroviaria, rimetta mano al sistema dei trasporti nella sua generalità, preservi le risorse ambientali, individui nel campo dell’energia quelle strategie che riducano la nostra dipendenza e si faccia di ricerca, innovazione, scuola, università fattori di qualità del sistema».
In questa direzione mi pare vada il memorandum che avete firmato a per la pubblica amministrazione.
«Un passo importante che il sindacato ha indicato e determinato... Convinti come siamo che sia questo il passo giusto nella direzione delle riforme. Lo ha riconosciuto anche Gianfranco Fini, che pure sta all’opposizione, ma che ha colto le potenzialità di questa scelta. La novità sta in uno sforzo comune, convergente, per migliorare nel senso della funzionalità e della trasparenza l’amministrazione pubblica, nel suo rapporto con i cittadini e con le imprese, senza immaginare rivoluzioni, operando perchè funzioni meglio ciò che finora ha funzionato poco, responsabilizzando chi dirige, investendo in formazione, riducendo la precarietà, utilizzando in modo corretto il principio della mobilità del personale...».
E proprio sulla mobilità, è calata la prima ombra. Anche se il ministro Nicolais ha smentito la minaccia del Corriere: «Sposteremo gli statali senza il via dei sindacati».
«Infatti. La questione è molto semplice: bisognerà conoscere i fabbisogni degli organici, avviare una trattativa con i sindacati e, secondo progetti e necessità, decidere come si realizza la mobilità. Vorremmo che la pubblica amministrazione diventasse una macchina che mostra tutti i suoi ingranaggi, in modo che i cittadini possano giudicare la sua qualità».
Dovrebbero essere gli utenti a dettare la pagella?
«Dovrebbero poter dire se un servizio funziona e non funziona... Altro capitolo nella nostra agenda quello della previdenza, degli ammortizzatori sociali, del welfare e del mercato del lavoro contro la precarietà...».
Intanto ogni lavoratore italiano vorrebbe ascoltare una parola certa sulle pensioni...
«Gli allarmi a ripetizione sono quanto di più negativo si possa pensare, creano incertezza anche tra chi non avrebbe proprio nulla di cui preoccuparsi, con una rappresentazione forzata dei problemi di equilibrio del nostro sistema previdenziale. Per prima cosa, metterei da parte l’innalzamento d’età voluto dal governo precedente, il cosidetto scalone, che non è solo un aumento di tre anni. A questo si aggiunga la questione dei coefficienti di trasformazione, previsti dalla legge Dini, che diventano un elemento troppo penalizzante per i giovani: vorremmo evitare in futuro pensioni al di sotto del cinquanta per cento degli stipendi. Vorremmo anche che si rivalutassero i redditi molto bassi di chi è già in pensione. Vorremmo infine che il lavoro discontinuo e precario trovasse risposta anche sul terreno delle copertire previdenziali».
A proposito di mesi decisivi per il governo, uno dei primi impegni toccherò la crisi di Alitalia. Come salvare la compagnia di bandiera?
«Sono molto preoccupato perchè gli errori del passato consegnano una situazione pesantissima. La flotta è vecchia, Alitalia ha abbandonato la rotte più redditizie, non si sa neppure a quanto ammontino le perdite reali del 2006. Temo la svendita di questo che resta un patrimonio italiano. Mi appello al coraggio di imprenditori che abbiano voglia di misurarsi. Alitalia resta comunque un marchio forte in tutto il mondo. A fine gennaio si saprà. Anche il sindacato dovrà mostrare coraggio. Non dovrà nascondersi di fronte a un piano autentico di rilancio, dovrà mostrarsi in grado di sostenerlo nelle modalità corrette, rispettose del lavoro e dei lavoratori. Ma se l’ipotesi sarà solo quella della svendita non potrà fare altro che difendere i diritti dei lavoratori. A proposito di innovazione mi pare che Alitalia rappresenti una bella prova. Anche simbolica».
Ancora innovazione. La nascita del Partito democratico sarebbe un’occasione di innovazione...
«Mi pare che il paese sia alle prese con qualcosa di più complesso, dalla riorganizzazione del sistema politico al varo di una legge elettorale più efficace, dentro un quadro istituzionale che andrebbe reso più stabile (ad esempio, definendo una volta per tutte la revisione del titolo quinto della Costituzione). Detto questoi, non ho mai negato il bisogno di formazioni più grandi e rappresentative contro la frammentazione. Ma non avverto ancora chiarezza di identità e contenuti nel percorso che dovrebbe condurre al Pd. Vedo nodi non risolti come quello dell’appartenenza al partito socialista europeo. Vedo incertezze in merito al tema laicità: le posizioni si allontanano, se mediare in una coalizione è difficile, deflagrante diventa mediare in un solo partito. Dal mio punto di vista aggiungo che di rapporto tra questo progetto e i temi del lavoro non si è mai discusso: il punto è cruciale. Con tutta onestà credo che oggi sarebbe più importante tenere uniti i partiti dell’Ulivo, che si presentano con opinioni diverse su tante questioni, Vicenza, pensioni, pacs, Afganistan... Diversità che rendono fragile il percorso del governo e ancora più insicuro il paese. Qui sta il cuore del problema».

di Oreste Pivetta