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Unità: Farsi bocciare per non restare soli

Per un disabile non volenteroso, non portato per lo studio, si riapre una questione che inevitabilmente coinvolge le famiglie e la scuola

24/01/2007
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l'Unità

Ileana Argentin
Ci sono due anni, dai 16 ai 18 in cui si registra un vuoto istituzionale e sociale, poiché la scuola dell'obbligo è prevista fino al compimento del sedicesimo anno d'età. Nelle discussioni sulle riforme scolastiche molto si è parlato di un innalzamento dell'obbligo fino ai diciotto anni, così da tenere i ragazzi un paio d'anni in più nel «parcheggio scuola» e rimandare per un po' il problema lavoro. La scuola dell'obbligo elemento qualificante della nostra democrazia, sancito dalla Costituzione, è di grande importanza sia per la lotta contro la dispersione scolastica, sia per combattere l'analfabetismo tornato nelle cronache da un sondaggio di qualche tempo fa, dove appariva che la maggior parte della popolazione italiana poteva considerarsi, se non del tutto analfabeta quanto meno illetterata. Tornando a parlare del vuoto istituzionale, faccio riferimento al periodo che va dalla fine dell'obbligo scolastico ai diciott'anni, età in cui i ragazzi disabili possono accedere ai centri diurni. Il problema si pone per tutti quei ragazzi che non hanno «vocazione» allo studio, del resto non tutti nascono per stare sui libri. Per un disabile non volenteroso, non portato per lo studio, si riapre una questione che inevitabilmente coinvolge le famiglie e la scuola. Se un ragazzo disabile a sedici anni non ha più voglia di studiare che fa? La soluzione più breve ma non la migliore è da anni sempre la stessa, ovvero i genitori chiedono agli insegnanti di bocciare il loro figli per un paio di volte, fino ad arrivare alla maggiore età per far passare i due anni d'attesa. Al momento questa è una delle soluzioni adottate per alleggerire le famiglie e al tempo stesso per non rinchiudere i ragazzi dentro casa. Questa buco politico istituzionale è aggravato anche dalla difficoltà per i ragazzi disabili nell'inserimento lavorativo, come ho più volte denunciato è difficile far assumere un ragazzo disabile, tanto più se di così giovane età.
E' giunto il momento di porre all'attenzione delle istituzioni competenti, queste tematiche e trovare insieme delle risposte per non svuotare la scuola del suo ruolo e per colmare il buco dell'assistenza. Si potrebbero organizzare, ad esempio, delle strutture sociali che garantiscano il proseguo dall'istruzione ai centri diurni, dei «club» ad hoc per proseguire il discorso dell'inclusione che passi dalla scuola alla vita quotidiana, formarli per il lavoro o semplicemente fare da traino tra la famiglia, la scuola e il centro diurno. Credo che l'innalzamento dell'obbligo scolastico diventi elemento qualificante, se finalizzato ad un progetto che veda la scuola protagonista della vita culturale e sociale di tutta la parte protetta della vita, non un limite a quanto sembri utile alle esigenze delle aziende, come propose nella sua riforma l'ex ministro Moratti, ma soprattutto un modo per la lotta alla nuova emarginazione.