Unità: Finanziaria, dieci punti fermi
Marigia Maulucci
Marigia Maulucci
Hic Rhodus, hic salta. Che la legge finanziaria sarebbe stata un osso duro per il governo era chiaro a tutti. Meno prevedibile che l’artefice maggiore dei danni al governo fosse il governo stesso. L’entità della Finanziaria ha subito, in poco tempo, una specie di rimbalzo tonico: partita da 35 miliardi, è tornata sostanzialmente alla stessa cifra dopo un’improvvida discesa estiva a 30, col risultato di appannare e confondere l’iniziale messaggio sulla gravità della crisi economica, produttiva, finanziaria. Le forze politiche della maggioranza stanno dando il meglio. Alcune inguaiano l’esistenza dei ministri più attivi provenienti dalle loro stesse fila. Altre vagolano ai bordi della maggioranza con la matita rossa e blu, alla ricerca del tasso di riformismo senza se e senza ma. Altre ancora, prima sostengono la spalmatura in due anni della manovra, e perdono, poi la riduzione quantitativa della stessa, e riperdono, poi decidono di recuperare credibilità e visibilità attraverso un’inquietante esplosione di invidia/lotta di classe, in virtù della quale finalmente in questo Paese saremo tutti uguali, nel senso che tutti affogheremo in un mare di lacrime. Bella consolazione.
Difficile orientarsi e ancor più difficile ricostruire le condizioni di contesto giuste che, nell’immediato e nella prospettiva, possano dare un senso alla manovra del 2007, considerare gli impegni che comunque il governo si è assunto per una fase immediatamente successiva e dunque ragionare, con quintali di ottimismo della volontà, sull’intero arco della legislatura. Quelle condizioni di contesto dicono che la situazione è pesante e occorre che ognuno, secondo le sue possibilità, faccia la sua parte.
Punto uno: la Finanziaria è del governo e di nessun altro. Di tutto il governo. Alla vigilia della discussione parlamentare, tale affermazione risulta meno tautologica di come appaia. Punto due: risulta colto, a parere sostanzialmente unanime di una serie di osservatori, l’obiettivo del risanamento. Stando alle cifre, alla fine del 2007 il deficit è al 2,8%, il debito al 106,9%, l’avanzo primario al 2%. Era ora.
Punto tre: il risanamento e lo sviluppo si alimentano a vicenda e nella manovra bisognava dare sostegno esplicito ai segnali di ripresa, con interventi di qualificazione dell’offerta fatti di selettività nelle scelte verso l’innovazione tecnologica, la ricerca, il sistema scolastico e formativo, l’università. Questi segnali non sono adeguati alle necessità: dalla campagna elettorale, la maggioranza si porta appresso il fardello della riduzione dei 5 punti del cuneo fiscale, ora modificatosi in riduzione generalizzata dell’Irap, con qualche apprezzabile elemento in più di selezione, ma senza assumere fino in fondo un impegno straordinario di scelte e di investimenti, volto alla modificazione e qualificazione del nostro modello di specializzazione produttiva.
Punto quattro: il criterio dell’equità deve attraversare sia il risanamento che lo sviluppo. E l’equità è un valore in sé. L’asse della riforma fiscale risponde a questo obiettivo, proponendosi di redistribuire in basso, a sostegno dei lavoratori dipendenti, specie a basso reddito e con figli. La famiglia bireddito ci guadagna: per la prima volta, il reddito della donna non penalizza l’assetto fiscale della famiglia, dunque non risulta incentivato né il lavoro nero delle donne, né la loro ghettizzazione domestica. La famiglia “tipo” con due redditi di 21.500 e 20.000 e un figlio minore ha una variazione di reddito disponibile di 440 euro. Se i figli sono due, si arriva a 797 euro. Noi single rimaniamo sostanzialmente come prima: credo che vada raccolta la considerazione del Governatore Draghi che, rubandoci quasi il mestiere, suggerisce al sindacato di rivendicare nel 2007 la restituzione del fiscal drag che, come sappiamo bene, produce danni. Il sistema si riavvia ad essere progressivo e probabilmente lo sarebbe più compiutamente se fosse introdotta un’ulteriore aliquota in alto, non per vendetta, ma per giustizia. Altrimenti hanno ragione quelli che sostengono, Tremonti in testa, che i ricchi veri, quelli sopra i 100.000 euro, al 43% stavano e al 43% rimangono. Questo impianto fiscale dovrebbe assorbire la parte di cuneo che toccava al lavoro dipendente, con qualche garanzia che vada solo al lavoro dipendente per via della reintroduzione delle detrazioni fiscali. Peraltro, avendo noi stessi richiesto che dalla riduzione del costo del lavoro fossero esclusi i contributi previdenziali che ne costituiscono magna pars, e avendo il Governo, fin dal Dpef, accolto questa richiesta, occorreva diversamente articolare le risorse messe a disposizione per quell’obiettivo.
Punto cinque: la manovra contiene una quantità importante di nuove entrate e questo potrebbe, a detta di molti, deprimere la crescita. Se non capisco male, però, gli aumenti di entrate dello 0,8% nel 2006 e dello 0,5% del 2007 dovrebbero essere il risultato anche della lotta all’evasione e elusione fiscale: non si tratta dunque di aggravi persecutori di imposizione, si tratta di emersione, di legalità. Con tutto ciò, i rischi sulla crescita ci sono tutti,ma forse più perché i deboli segnali di ripresa non vengono adeguatamente sostenuti che per effetto della manovra sulle entrate. Al contrario, penso che la redistribuzione in basso possa incentivare la domanda di consumi: peraltro, veniamo da anni di compressione della stessa in presenza di una politica di riduzione delle entrate.
Punto sei: sventato il pericolo che i Comuni aumentino imposte e addizionali, restano comunque i ticket, gli aumenti della contribuzione del lavoro dipendente e parasubordinato, una condizione generalizzata e diffusa di precarietà ancora non efficacemente affrontata, che rischiano di ridurre i vantaggi fiscali prodotti dalla correzione della curva dell’Irpef. Dunque, tutti stanno pagando, in maniera fortunatamente differente e in proporzione alle possibilità, la gravità della situazione economica e finanziaria. Ecco perché occorre un forte messaggio e un solido clima di coesione e solidarietà: esattamente il contrario di impropri appelli di ricchi contro poveri (e viceversa) e/o sgomitate litigiose di visibilità tra le forze politiche della coalizione di governo.
Punto sette: le questioni connesse al sistema previdenziale sono ancora problemi aperti, che si è convenuto di affrontare in tempi prossimi e contingentati, ma fuori dalla manovra di bilancio. Questi impegni sono parte “politicamente strutturale” della manovra stessa e rispondono contemporaneamente ad un'esigenza di rigore ed equità dentro un arco di tempo che garantisca preparazione e coinvolgimento dei lavoratori, costruzione di soluzioni che introducano nel sistema la necessaria flessibilità e volontarietà, affrontino i temi sia dell’invecchiamento attivo che di una previdenza certa per il futuro dei giovani. In questo quadro si collocano le scelte sulla funzione propulsiva dei fondi pensione in nuovi meccanismi di accumulazione, per quella vivacità di nuovi capitali utili e funzionali ad un’economia che vuole crescere.
Punto otto: impegno altrettanto forte abbiamo assunto per la costruzione di un patto per il lavoro pubblico, che affronti la questione della riforma della Pubblica Amministrazione, secondo criteri di efficacia, trasparenza e semplificazione, per una valorizzazione e riqualificazione del lavoro pubblico e del suo necessario ricambio generazionale. Punto nove: a Finanziaria fatta (e il come non è secondario), ci aspetta l’impegno che il governo si è assunto dell’avvio di una nuova politica dei redditi, che abbia questa volta come obiettivo condiviso la crescita della produttività e competitività. Il sindacato ha dato la sua disponibilità a patto che sia possibile davvero definire la produttività col metro del tasso di innovazione e di ricerca che i prodotti devono incorporare, che si costruiscano le condizioni per uno sviluppo che abbia al centro il lavoro nella sua qualità e dignità.
Punto dieci: l’interlocuzione col governo non si ferma alla legge finanziaria, le scadenze che ci aspettano sono davvero impegnative per tutti. L’attuale fase, però, è particolarmente difficile e delicata: in fondo, noi, al governo, chiediamo solo di governare.
* segretaria confederale Cgil