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Unità: Gli studenti ci guardano

Segnali di Governo

22/11/2006
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l'Unità

Oggi è successo qualcosa che forse nella storia della Repubblica non era mai accaduta. Il ministro della Pubblica Istruzione, in persona, Giuseppe Fioroni, alle otto della sera, è entrato in una scuola occupata di Roma, il Liceo Tasso, ed è rimasto per quasi due ore a dialogare con gli studenti che occupavano la scuola. È un segnale chiaro di un governo diverso, di un modo di intendere il dialogo in modo nuovo e costruttivo, di una svolta vera e propria. I ragazzi del Tasso, che avevano chiesto di parlare con il ministro senza credere minimamente che la richiesta fosse plausibile, erano quasi sbigottiti nel vedere arrivare nell’Aula Magna della scuola il ministro della Pubblica Istruzione.
Tutto era iniziato l’altro ieri, ed era cominciato a Roma. L'inizio è stato al Tasso, lo storico liceo noto per la sua tradizione éngage e di sinistra. E poi hanno seguito l'esempio altre scuole. Il luogo comune adulto e giornalistico dice una serie di cose. La prima: le occupazioni si fanno a dicembre, e prima di Natale, così si alleggeriscono interrogazioni e studio. La seconda: le occupazioni ormai sono un rito e un giochetto che poco hanno a che fare con la politica.
E molto hanno a che fare con i sacchi a pelo, la trasgressione di stare dentro scuola, e via dicendo. La quarta, assai nuova: l'occupazione ha diviso gli studenti perché in molti hanno considerato questa finanziaria una buona finanziaria riguardo alla scuola e quindi si sono dissociati.
In realtà, e come al solito, si parla sempre attraverso paradigmi e luoghi comuni. È chiaro che gli occupanti delle scuole superiori hanno un'età che oscilla tra i 14 e i 18 anni. E che sono dei ragazzini. In molti di loro l'aspetto ludico dell’occupazione è prevalente sull'esame dei punti della finanziaria che riguardano le scuole pubbliche e le scuole private, e che riguardano gli investimenti su ricerca e università. Ma è altrettanto ovvio che molti di questi ragazzi, qualche volta interessati a scansare qualche interrogazione di latino e greco, hanno comunque, nella forma che gli è consentita dall'esperienza e dall'età un senso di disagio. Sanno che i soldi per la scuola sono pochi, pensano che un governo di sinistra avrebbe dovuto metterci un pò più di impegno. Non sanno che l'iter della finanziaria è ancora al Senato e dunque che la legge è passibile di modifiche. Ma è chiaro che le occupazioni sono un fenomeno soprattutto emotivo, prima di essere un fenomeno politico. E questo è difficile da far capire.
Noi adulti sbagliamo quando pensiamo che per questi ragazzi è soltanto un gioco, e sbagliamo quando continuiamo a fare confronti con le passioni politiche e studentesche della nostra generazione. In queste occupazioni ci sono due aspetti nuovi, che l'altro giorno all’occupazione del Tasso uscivano chiarissimi. I ragazzi del Tasso, l'altro giorno, erano diffidentissimi. Diffidenti con i giornalisti, che non avevano accesso alla scuola in alcun modo, con un passaparola degli studenti per cui «con i giornalisti non si parla e si fanno avere rari comunicati stampa». Non li hanno neppure avvertiti che sarebbe arrivato Fioroni. E poi sono impauriti, nonché diffidenti nei confronti della polizia. Delle forze dell’ordine. Non dico che il clima fosse da Fragole e Sangue, ma nell'immaginario di tutti questi ragazzini del Tasso di Roma c'erano due parole che ricorrevano. La polizia farà irruzione e ci porterà via e la polizia ci schederà. Non lo dicevano energumeni con le spranghe modello anni Settanta, ma ragazzette e ragazzini che capivi che qualche parte bambina se la portavano ancora addosso. E lo facevano con timore e sfida allo stesso tempo. E allora? Allora due considerazioni. E una preghiera. La prima considerazione è che la classe dei giornalisti viene vista dalle generazioni più giovani come dei pennivendoli, gente prona al potere che attacca il cavallo dove c'è il padrone, con i quali non è il caso di parlare perché falsificano la realtà, la cambiano, e non tutelano gli interessi delle persone ma solo dei poteri a cui fanno riferimento. E questa per noi è una bella sconfitta su cui riflettere seriamente, e che ci arriva da ragazzini di 16 anni. La seconda sconfitta è quella delle forze dell'ordine, che in questi anni hanno speso energie a caldeggiare le produzioni di fiction come Il maresciallo Rocca, Carabinieri con la Arcuri, Distretto di polizia con Ricky Memphis, e poi La Squadra, e decine di altre fiction (estenuanti) che miravano a dare un'immagine delle forze dell'ordine positiva e rassicurante. Un'immagine positiva però che le forze dell'ordine si devono ancora meritare tra le generazioni più giovani. Sappiamo che ormai negli stadi, i violenti (ma purtroppo anche molti che violenti non lo sarebbero) si scontrano più con le forze dell'ordine che con le tifoserie avverse. Sapevamo assai meno che tra i più giovani, il potere, le divise, e certi atteggiamenti eccessivamente assertivi non fanno bene alla crescita civile e politica. Quello che sta accadendo in questi ultimi tempi dimostra che nei confronti di polizia e carabinieri non c'è nessuna simpatia da parte dei ragazzi. E questo non va affatto bene. Per nessuno. E allora una richiesta per il preside del Liceo Tasso, Achille Acciavatti, un liceo che è diventato negli anni una scuola simbolo della sinistra.
Caro Preside, ci faccia questo piacere, né domani e neppure in futuro non chiami la polizia, non minacci sgomberi con le forze dell'ordine, come ha fatto ieri, promettendoli per domani mattina, prima che arrivasse il ministro a sorpresa. Si metta in gioco, convinca gli studenti, promuova forme di autogestione, concordi tutto questo con i suoi docenti, ma non faccia una cosa che è semplicemente impaurente e repressiva, ma soprattutto sorda a un disagio e a una richiesta di futuro dei più giovani, con cui questa sinistra di governo dovrà inevitabilmente fare i conti. Disagio e richiesta di futuro che sarà forse confusa, raffazzonata, contraddittoria e meno politica di quanto si vorrebbe ma che è reale e concreta, al punto tale che su questo si è mosso un ministro della pubblica istruzione. Perché avere 15, 16 o 18 anni e chiedere un futuro migliore non sarà mai una colpa.
roberto@robertocotroneo.it