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Unità: Gli studenti e la sindrome anti-partiti «La nostra politica non va sul palco»

L’onda del no-Gelmini cresce e vuole restare autonoma: «Tutti devono capire che noi non abbiamo sigle, in comune tra di noi c’è soltanto l’appartenenere tutti alla scuola pubblica».

26/10/2008
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l'Unità

L’onda del no-Gelmini cresce e vuole restare autonoma: «Tutti devono capire che noi non abbiamo sigle, in comune tra di noi c’è soltanto l’appartenenere tutti alla scuola pubblica».L’onda che vuole essere «un’unica cosa» e appartenere «a nient’altro che se stessa» ieri non è andata al Circo Massimo. Doralice ha deciso da sola: «Ho letto il decreto Gelmini. Se l’avesse varato un governo di centrosinistra avrei protestato nello stesso modo. È un’ipotesi possibile? Non lo so, mi fermo ai fatti». Allo scientifico Newton hanno fatto un’assemblea straordinaria per dire no alla manifestazione del Pd: «Abbiamo scelto di non andare come scuola - spiega Marco con cautela - per non venire considerati politicizzati. Naturalmente, libertà di partecipare in ordine sparso».

Sono i liceali che non vogliono scindersi tra destra e sinistra né incrinare il fronte emergenziale con genitori e professori. Detestano il semplice sospetto di strumentalizzazioni. Diffidano della «cattiva informazione». Apolitici. In che senso lo spiega uno di loro, Francesco Begiato: «Ogni volta che esprimi un’opinione fai politica ma non sei militante. Io ho le mie idee, che non c’entrano con quanto sta accadendo». Francesco ha 18 anni, frequenta la III F al liceo classico “Tasso” che ieri occupava. Marca la sua distanza dal Pd: «Oggi nel Paese non esistono partiti per cui gli studenti medi siano un reale punto di riferimento. Lo hanno capito, ma cercano comunque di mettere il cappello sul movimento. Devono prendere atto del fatto che gli studenti in tutta Italia non hanno sigle, in comune c’è solo l’appartenenza alla scuola pubblica». Un governo diverso avrebbe agito altrimenti? «La differenza sta nella velocità e nelle modalità: decreti, fiducia. È scandaloso. Ma c’è un disegno che da Berlinguer in poi snatura la scuola uniformandola alle aziende».

Venerdì al “Tasso” una quindicina di scuole superiori si è data convegno per decidere come andare avanti. Dall’”Albertelli” all’”Avogadro”, dal “Fermi” al “Virgilio” gli studenti hanno deciso di essere «completamente apartitici e lontani anche dalle unioni studentesche». «Noi ci occupiamo di scuola: ecco il messaggio che deve passare», dice Rachid.

Niente corteo da Piazza della Repubblica, allora. Il sit in, vagheggiato di fronte al Quirinale, si sposta davanti al ministero dell’Istruzione. Qualche centinaio di ragazzi al cellulare cancella ogni appuntamento serale: «Mi dispiace, non posso, faremo tardi qui sotto». Giuliano viene dal tecnico “Marco Polo”, una «scuola apolitica» di 500 studenti. «Avrei anche potuto esserci al Circo Massimo - racconta con un’ombra di rimpianto - Ma vogliamo una linea comune, nè di parte nè di partito. Vogliamo essere un’unica cosa: noi, padri e madri, chiunque si opponga».

Energie concentrate sulla «protesta alternativa» del 29 ottobre: una lezione all’aperto tenuta dai docenti e dal preside del “Russell”. La Questura avrebbe già autorizzato Piazza Venezia come location. Le adesioni di altri istituti sono benvenute purché in accordo con i professori. Scandisce Doralice: «Dimostreremo che non siamo bamboccioni ignoranti e i prof non sono fannulloni. Non potranno accusarci di fare casino. È un’idea non strumentalizzabile».

Eppure c’è la crisi economica, lo spettro della recessione, la paura della quarta settimana, le file alla Caritas, gli sconti al supermercato, i dottori che riesumano la pratica del baratto curando pazienti in cambio di olio e uova: ragazzi, siete certi di non volervi mischiare con chi se ne preoccupa? Francesco Begiato non ha dubbi: «È vero. La crisi c’è, tocca tutti i settori pubblici e anche il privato ne risente. Ma la scuola è il futuro, la base di qualsiasi paese civile».

FEDERICA FANTOZZI

ROMA

ffantozzi@unita.it