Iscriviti alla FLC CGIL

Home » Rassegna stampa » Rassegna stampa nazionale » Unità: Ho imparato l’italiano con l’armadio magico

Unità: Ho imparato l’italiano con l’armadio magico

Nessuno a scuola parlava con me e la solitudine era la bestia più brutta da sopportare. Mi ha salvato la maestra

27/10/2008
Decrease text size Increase text size
l'Unità

Daniele Silvestri intitolò un suo successo Kunta Kinte. Un tormentone musicale, per me un tormento. Il mio spettro era proprio Kunta Kinte, un personaggio di un bel libro e un bellissimo sceneggiato, Radici, uno schiavo nero, un uomo che lotta per ottenere la sua libertà. Alle elementari i bambini più grandi mi chiamavano così: Kunta Kinte. Io, Igiaba, figlia di somali espatriati, io nera, ero come Kunta Kinte, quindi ero da frustare come il protagonista del film. Mi dicevano che ero brutta, che ero bruciata, che puzzavo perché si sa i neri puzzano, e naturalmente portavo malattie. Non di rado tornavo da scuola con un occhio nero o un ginocchio sbucciato. Nessuno a scuola parlava con me e la solitudine era la bestia più brutta da sopportare. Mi ha salvato la maestra. Si chiamava Silvana Tramontozzi e aveva inventato per me, che non parlavo mai, il gioco dell’armadio magico. Dentro c’erano racchiuse le storie, le magie, le cose più belle. Un giorno me ne fece vedere una: un libro bellissimo con tanti disegni. La promessa era ad ogni storia una parola mia in più in classe. Mi è sempre piaciuto leggere, quindi per accumulare le magie, accumulavo anche parole da dire in classe davanti agli altri bambini. Poi le parole sono diventate frasi, che si sono tramutate in storie, raccontavo ai miei compagni il mio essere una bambina somala, ma anche una bambina italiana. La magia delle parole è la lezione più bella che ho imparato a scuola. Forse il paradiso è fatto così, pieno di parole. Forse è come l’armadietto della maestra Silvana.