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Unità: «Il brusio delle liti copre la voce del governo»

intervista a GIULIO GIORELLO Messaggio a Prodi dal filosofo della scienza: fai cose giuste, ad esempio gli investimenti su istruzione e cultura. E poi annunciale spavaldamente. La scommessa è svecchiare il paese, renderlo coeso e capace di uscire dalle sabbie mobili del proprio particolare

18/11/2006
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l'Unità

Messaggio a Prodi dal filosofo della scienza: fai cose giuste, ad esempio gli investimenti su istruzione e cultura. E poi annunciale spavaldamente. La scommessa è svecchiare il paese, renderlo coeso e capace di uscire dalle sabbie mobili del proprio particolare

Pochi giorni fa Romano Prodi ha detto che il paese era «impazzito». L'altro ieri ha dato un'intervista a Sky dove ha messo in evidenza che questo è un paese di corporazioni e che in troppi pensano al lavoro «particolare». L'altro ieri intervistando Dacia Maraini abbiamo messo in luce il tema della perplessità riguardo alla comunicazione politica di questo governo, il rapporto tra aspettative della sinistra e capacità di questa maggioranza di generare un immaginario politico e culturale che possa essere di traino per un futuro meno incerto, e fatto di entusiasmi maggiori. Ora questi temi e queste domande le facciamo a un filosofo. E per di più un filosofo della scienza, Giulio Giorello, una persona abituata cioè a interrogarsi attraverso procedimenti logici, e ad analizzare la politica con criteri non ideologici.
Giorello, iniziamo da Prodi, e poi parleremo della coalizione, e della politica del governo. Prodi sembra che abbia deciso di uscire più allo scoperto. Parla, cerca di essere chiaro. Si rivolge non solo ai suoi elettori, ma a tutti i cittadini. Come vedi questa svolta?
«Prodi parla perché si rende conto che questo è un paese diviso, diviso in tutto. E il riferimento che ha fatto al "particolare" è quasi una richiesta di aiuto».
Agli elettori o alla coalizione?
«Probabilmente alla coalizione. Il futuro è troppo incerto. La comunicazione della politica passa dalla capacità di rendere la politica moderna. Anche se purtroppo ho dei dubbi sulla modernità di questa sinistra».
E perché?
«Io vedo due cose. Vedo i miei amici, che non sono di centro destra, e che hanno votato Prodi o scheda bianca, che mostrano insofferenza verso questa politica del governo. E vedo i ragazzi più giovani, i loro figli, che appena appare un politico in televisione cambiano canale».
Ma non ti sembra che questo sia più un qualunquismo che una vera idiosincrasia verso la politica?
«Se mi vuoi dire che la diffidenza per la politica è una vecchia croce di questo paese, certo. Ma hai letto ieri l'articolo di Gian Antonio Stella sul "Corriere della Sera"?».
Quello sui rimborsi ai partiti?
«Sì, centinaia di milioni di euro che arrivano ai partiti in un modo ambiguo e farraginoso. Ma non avevamo votato contro il finanziamento pubblico ai partiti?».
Sì, certo. Ma non credo che le perplessità vengono da questo.
«Vengono da tutto. Soprattutto dal fatto che non è tanto importante fare delle scelte giuste, ma è importante fare e dare la sensazione che si stanno facendo delle scelte. Prendi la scuola, l'università... Si possono tagliare fondi alla scuola e all'università?».
Rispondi tu.
«Io dico che un governo di sinistra deve fare il contrario. E deve essere la prima cosa. Investire sull'istruzione di que-sto paese. Se vuoi poi tagli su tutto il resto ma devi aumentare i fondi per l'istruzione. E poi lo comunichi in un modo chiaro, persino spavaldo se è necessario. Rimarchi la cosa».
Sarebbe giusto, certo. Ma secondo te una scelta politica come questa basterebbe a risvegliare gli entusiasmi?
«Io credo che sarebbe soprattutto una cosa giusta. Riguardo agli entusiasmi, non possiamo aspettarci che Prodi predichi la nuova frontiera. Anche perché non è necessario».
Però adesso alcune parole d'ordine le ha date. Parla di futuro. Si lamenta dei particolarismi. Polemizza con l'egoismo del poco oggi, piuttosto che qualcosa di molto concreto domani... C'è una nuova strategia di comunicazione.
«Ma è ancora presto per capirlo. Vedi, le parole di Prodi sono un continuo frutto di mediazioni. E per soddisfare le aspettative si deve dare la sensazione che delle mediazioni si può fare a meno».
Non sarà, e lo dico a te che sei un filosofo della scienza, un problema di paradigma. Ovvero quello che il filosofo della scienza Thomas Kuhn chiamava "paradigma", e che altri chiamerebbero "sistema", e altri ancora "grammatica della politica"?
«Il paradigma di questa politica, e di questo centrosinistra è in crisi. È entrato in crisi da un decennio e più, e non ce n'è uno nuovo. Non ci sono regole condivise, non c'è una coesione nel paese. Prodi ha problemi con gli elettori che non lo hanno votato e ha problemi anche con quelli che lo hanno votato».
Se vogliamo ha anche problemi con la sua maggioranza in parlamento...
«E infatti la litigiosità di questo governo tocca vette francamente eccessive. Ma il sistema elettorale ha accentuato tutto questo. Però vedi, la litigiosità è una sorta di rumore di fondo, un segnale costante di disturbo della politica del centro sinistra. La musica gracchia un po' come un canale radio disturbato, che non riesce a sintonizzarsi sulla frequenza di una modernità. E la frequenza della modernità, se vai a a vedere bene, la trovi ad esempio in uno come Zapatero».
Sì, ma non ti sembra che Zapatero sia diventato un'icona persino banale del leaderismo di sinistra? Citato continuamente da tutti come esempio.
«Forse. Però Zapatero ha fatto scelte complicate, e per certi aspetti rivoluzionarie per un paese difficilissimo, e contraddittorio, come la Spagna. Poi vorrei trattasse un po' di più con i baschi, ma questo è un altro discorso».
Però la Spagna ha una tradizione unitaria, che nonostante tutto, tiene nei secoli. Noi un po' meno.
«Noi un po' meno, è vero. Abbiamo un nord con istanze seccessioniste e con i leghisti, e una parte del sud dove, nei fatti, non c'è controllo dello Stato. Sono realtà complicate e non felici. Prendi Milano, vuoi per caso paragonarla a una città come Barcellona?».
E si dovrebbe?
«Certo che si dovrebbe, ma non si può».
Perché?
«Perché Milano non ha una vitalità come Barcellona».
Roma sì, invece.
«È vero. Ma Roma è una città strana. È stata la capitale di uno Stato, quello Pontificio, e ha una grandezza e una tradizione millenaria».
Senti, queste interviste hanno alla fine una domanda, obbligata. Cosa possiamo fare, cosa si deve fare perché si possa aiutare questa maggioranza a uscire da questa sensazione un po' grigia in cui in certi momenti sembriamo caduti. Cosa fare insomma perché torni una forma di entusiasmo per la politica, e per il futuro?
«Io penso che la scommessa sia culturale. Non si riesce a capire che è la cultura il nodo di tutti i mali di questo paese. La cultura nella quale non si è investito, la ricerca nella quale non si è investito, la capacità di formare gente capace di ge-nerare idee nuove veramente, nella quale non si è investito. Questa è un'Italia che ha impoverito se stessa in un modo davvero poco saggio e dissennato. Ha impoverito se stessa proprio nel software delle idee. È un paese vecchio che non è in grado di scrollarsi da vecchi schemi».
Anche nella politica?
«Soprattutto nella politica. La politica è la cosa più vecchia che c'è in Italia: quella con meno idee, quella lontana anni luce da qualsiasi modernità».
Glielo diciamo a Romano Prodi?
«Certo, ma non soltanto a lui, ma anche a tutti quelli che pensano al loro particolare, e non capiscono che pensare in grande vuol dire prima di tutto imparare a pensare. E imparare a pensare vuol dire saper capire, avere strumenti. E gli strumenti culturali sono l'unico modo per uscire dalle vecchie sabbie mobili di questo paese. Se qualcuno avesse forza e coraggio per investire su quelli».
roberto@robertocotroneo.it

di Roberto Cotroneo