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Unità «Il cinismo di Berlusconi umilia la ragione e mortifica anche la coscienza religiosa»

Conversazione con Remo Bodei, storico della filosofia

10/02/2009
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In tutta questa storia mi colpisce il cinismo di Berlusconi, che salta sul caso Englaro per sferrare un attacco che mira a ben altro: agli ordinamenti repubblicani. Quanto al caso in sé, penso che la vita personale, come diceva Cicerone, appartiene anche agli altri, agli amici, ai familiari. Ma che non sia affatto una livrea da riconsegnare a Dio, come sta scritto nella Bibbia». Conversazione fluida e senza rete quella con Remo Bodei, filosofo, già tra i massimi allievi di Eugenio Garin a Pisa, oggi in pensione e docente nella prestigiosa Università Ucla di Los Angeles. Sulle prime dice di «non sapere troppo sull’Italia». Ma non è vero, perché è informatissimo. Fa il pendolare tra Usa e Italia - anche per il Festival di Filosofia a Modena oggetto di polemiche - e poi segue sul web gli eventi in corso («ho cercato di firmare l’appello sul vostro giornale ma non ci sono riuscito...»). La sua tesi di fondo sull’Italia suona: c’è un rischio di regressione culturale e democratica del paese. Mal contrastato da un Pd troppo «ecumenico» e incapace di far passare un suo linguaggio. E allora cerchiamo di approfondire tutto questo con Bodei da l’Unità, «inchiodandolo» al telefono poco prima che si rechi alla Yale University di Boston, dove deve andare a fare una serie di lezioni sulle «interpretazioni del tempo» nella filosofia occidentale.

Professor Bodei, in Italia scontro senza precedenti. Premier contro Napolitano e la Costituzione, con minaccia di mutarla a tappe forzate. Persino Bush jr si fermò dinanzi alla Corte Suprema sul caso Schiavo. Negli Usa poteva accadere una cosa del genere?

«No, eticamente impossibile. Intanto c’è una differenza abissale di fondo. Negli Usa, malgrado la crisi economica, c’è la possibilità di rialzarsi, una speranza che accomuna, mentre noi non abbiamo questa forza di ricominciare. L’idealista pragmatico Obama viene vissuto come uno capace di rimettere in moto la situazione. Con Berlusconi siamo inchiodati e il rischio democratico è enorme. Il suo non è più un partito di plastica. Con la Lega ha conquistato i ceti popolari, e si è creato un blocco che sta conquistando anche il mondo sociale di sinistra, esposto ormai alla minorità intellettuale. Quanto a Bush jr, si fermò sul caso Schiavo, e oggi Obama rovescia i suoi indirizzi bioetici, dall’aborto alle staminali. In Italia viceversa l’asse Berlusconi-Vaticano è un’insidia e il tentativo di alterare la divisione dei poteri è palese. In più c’è il cinismo, il tatticismo, che sfrutta il tema della vita in chiave strumentale. Napolitano ha fatto benissimo a fare da argine»

Il tutto in un clima di inselvatichimento, con stupri, violenze di gruppo e riflessi xenofobi...

«Ho percepito il clima. C’è una crisi identità dovuta non solo alla paura dell’altro, ma anche a un vuoto di riferimenti ideali. La sinistra non è più in grado di fare costume, formazione, senso comune. Ha smarrito il ruolo storico di tramite tra le generazioni. E poi gioca sempre di rimessa, con linguaggio sfumato e senza proposte nette...

Non è l’inevitabile conseguenza di una sinistra soft e di opinione, solo «democrat» e incapace di arginare gli spiriti animali del blocco di destra?

«Non voglio fare processi alla scelta del Pd. E credo sia stata positiva l’apertura mediatica e comunicativa del Pd alla società italiana. Ma senza dubbio il modello adottato è stato debole fin qui. Mi dà speranza invece la vicenda sarda, che vede Soru al centro. La cui battaglia netta sul paesaggio condivido a pieno. Lì però non tutto il Pd lo appoggia, e anzi lo osteggia. Ecco un banco di prova e un’esperienza decisivi. Come al solito tuttavia, in un quadro di impar condicio. Con Berlusconi che deborda contro Soru, e la fa da padrone sui media».

Ma può bastare una persona, oppure ci vuole una sinistra di massa per fermare la destra e scongiurare derive plebiscitarie?

«Non sono per il culto della personalità, ma nemmeno per una sinistra comunitaria e di massa. Ci serve una sinistra articolata, e non monolitica. Una rete di reti, in grado saldare interessi e ideali e di fornire una prospettiva forte sull’Italia di domani. Non è più praticabile il partito etico di massa, pur così pieno di meriti nel dopoguerra. Oggi la situazione è cambiata. Perché la Lega cattura tanti consensi a sinistra?»

Perché è un piccolo partito di massa!

«Sì, ma incentrato su valori xenofobi non condivisibili. A contrastare i quali non basta il residuo di partito di massa e di sinistra ereditato dal dopoguerra. Semmai mi chiedo: come opporsi al senso comune conservatore sul caso Englaro o su altro, con un Pd intriso di “teodem” e posizioni anti-laiche? Difficile fare battaglie laiche in queste condizioni. E così il Pd resta in bilico, tra ecumenismo molle e rischi di isolamento e divisione.

Il problema perciò non è quello di avere un chiaro baricentro sociale e valoriale?

«Purché non sia la lamentazione continua o la genericità sulle ingiustizie e sui diritti violati. Occorre articolare i diritti, da quelli laici di libertà, a quelli dell’integrazione tra diversi, a quelli sociali e del lavoro, all’ambiente, alla scuola all’efficienza del sistema».

Però Obama mette al centro il lavoro e il rilancio produttivo. Non sta di nuovo qui il motore?

«Certamente. In Italia abbiamo già perso 130mila posti di lavoro, e negli Usa 600mila solo in gennaio. Lo sfondo è la crisi generale. Che Obama vuol contrastare con investimenti mirati e deficit spending. Anche noi dobbiamo reagire, schiacciati come siamo dal basso costo mondiale della mano d’opera e dalla scarsa innovazione. Cose che rischiano di cancellare 150 anni di conquiste sindacali. Che tipo di lavoro oggi? Lavoro flessibile io dico, ma non precario. Guarnito di formazione, ammortizzatori e innovazione tecnologica. Stanno qui la via d’uscita e l’asse di programma della sinistra. È una gigantesca rivoluzione questa, che coinvolge l’efficienza, gli sprechi, i diritti. E l’immagine... Pensi a Napoli. È stata una gigantesca batosta per la sinistra. E pensi ai litigi del governo Prodi...»

Torniamo agli Usa. Il nesso religione e politica in Obama è un buon esempio, oppure è inesportabile altrove?

«Esempio molto americano. Frutto del mix di centinaia di sette. Vale in generale però l’idea di una religione civile pubblica, ma non confessionale, dove politica e costume restano laici. Niente a che fare con l’uso cinico della religione da parte di Berlusconi. Che umilia la ragione e anche la religione».