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Unità: Il coglione e la teoria della prassi

La frase di Bersani sul ruolo del ministro Gelmini nella scuola ha fatto scandalo. E invece segna il ritorno della politica a problemi reali e concreti

28/05/2010
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l'Unità

Luigi Manconi

Pierluigi Bersani, 22 maggio 2010: «L’idea di una figura eroica, quella di quelle insegnanti che nei grandi quartieri urbani o nelle città degradate in tanti luoghi d’Italia vanno a inseguire il disagio sociale, a tener fermo il bambino a veder che non vada via mentre la Gelmini le rompe i coglioni ». Se volevate sentire “qualcosa di sinistra” – nel senso di radicale, alternativo al pensiero corrente e teso a un’idea di emancipazione sociale – eccolo qua. D’accordo, è una frase e solo una frase, ma da qualche parte bisogna pure iniziare. Sì, lo so che Bersani è il segretario del Pd e un apprezzamento nei suoi confronti rischia l’accusa di Blandizie verso il Capo: ma, forte del fatto che riesco a stare dentro l’Assemblea nazionale del partito senza militare in alcuna corrente, posso permettermi forse questo lusso. Partiamo dal turpiloquio. La cosa ha suscitato un certo scandalo, signora mia:maun segretario di partito! ma contro un ministro! ma contro una donna! La storia linguistica della nazione racconta che, a utilizzare quel termine prima di Bersani, sia stato Silvio Berlusconi, quando definì appunto «coglioni » gli elettori di sinistra (5 aprile 2006:«Hotroppa stima per l’intelligenza degli italiani per credere che ci possono essere in giro tanti coglioni che votano per il proprio disinteresse ». Sì, disse proprio così: disinteresse). La differenza tra le due frasi è, a ben vedere, notevole. Nel caso dell’attuale premier, la definizione è tutta personalizzata e, si dovrebbe dire, antropomorfizzata. L’elettore di sinistra viene equiparato a un testicolo, ridotto a organo – pur preziosissimo – e identificato con un elemento anatomico. Dunque, ingiuriato e vilipeso. Nel caso di “rompere i coglioni” si tratta, invece, di qualcosa di meno oltraggioso dal momento che definisce un’attività molesta o dannosa e non l’autore di essa. Critica (certo volgarmente) un’azione, ma non insulta – o comunque insulta meno gravemente - chi la compie. Altro elemento che può far sussultare è che quella formula sia riferita a un contesto solo femminile (il ministro donna contro le insegnanti donne) ma forse Bersani non ignora che il termine coglione deriva dal greco antico, dove Kolèos (fodera) indicava la vagina. Detto ciò, si consideri il significato politico dell’invettiva bersaniana. Per dirne una, alla Gelmini si deve la circolare, resa nota da Giusi Sansone del Tg3, dovesi legge: «il personale è invitato ad astenersi da dichiarazioni o enunciazioni che possano ledere l’immagine dell’amministrazione (...) Le sanzioni vanno fino alla sospensione dell’insegnamento per un mese con perdita del trattamento economico». Anche solo alla luce di ciò, quel «le rompe i coglioni» risulta addirittura un eufemismo. Eppure il punto significativo è un altro. Ed è l’ipotesi di fare del ruolo delle insegnanti che “inseguono il disagio sociale” un contenuto essenziale del programma del Pd. Sembra poco, ma è tantissimo. Innanzitutto perché il ruolo di quelle insegnanti risponde, come può e come sa, a due fondamentali esigenze della società italiana. La prima è quella dell’istruzione e della formazione come Grande Emergenza Nazionale, in un Paese dove la dequalificazione culturale e scientifica impoverisce il capitale sociale, fino a deprimere qualunque capacità di innovazione. La seconda esigenza è quella di contrastare la progressiva diffusione di aree di marginalità sociale. La bancarotta del sistema scolastico ha conosciuto, negli scorsi decenni, una sola eccezione: quella della scuola dell’obbligo e specialmente di quella elementare. Ma ciò è stato possibile proprio e solo grazie a un personale docente (in gran parte femminile) che ha rappresentato una linea di “resistenza” contro l’analfabetismo (civile, oltre che culturale) di ritorno. E che ha continuato a fornire quell’istruzione di base, non solo scolastica, che rappresenta la premessa e la piattaforma dei successivi percorsi formativi (questi, sì, pressoché tutti deficitari). C’è un’intera teoria di “figure eroiche” che presidiano il territorio all’interno di zone sempre più ampie del Paese, dove si allenta il legame sociale e si inaridiscono tutte le agenzie di socializzazione, e dove cresce la selezione di classe non solo tra italiani e stranieri, ma sempre più all’interno della popolazione nazionale. Ciò non produce nemmeno un sistema formativo elitario, finalizzato – che so? – alla creazione di un ceto imprenditoriale cosmopolita, e di una generazione di quadri medio-alti per le imprese del terziario e del quaternario avanzati, ma può determinare lo sfascio dell’intera struttura dell’apprendimento per le nuove generazioni. Se non è ancora accaduto, è grazie a quelle insegnanti alle quali il ministro Gelmini “rompe i coglioni”. E stiamo parlando – palesemente – di politica