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Unità-Il dogma e la scienza

Il dogma e la scienza di Carlo Flamigni C'è molta confusione in giro, provo a fare un po' di chiarezza. Sappiamo ormai tutti su quale principio biologico si basa la clonazione: si tratta di pren...

13/08/2004
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l'Unità

Il dogma e la scienza
di Carlo Flamigni

C'è molta confusione in giro, provo a fare un po' di chiarezza. Sappiamo ormai tutti su quale principio biologico si basa la clonazione: si tratta di prendere il nucleo di una qualsiasi cellula del corpo umano e di inserirlo all'interno di un oocita (cioè di un gamete femminile, la cellula uovo) privato del nucleo. Il problema è che questo trasferimento può avere conseguenze molto diverse. La prima conseguenza è di tipo riproduttivo, cioè utile a far nascere un bambino teoricamente identico (dal punto di vista genetico, il resto è casuale) all'individuo dal quale è stata prelevata la cellula somatica.
La persona che, si dice, si è fatta clonare. La seconda conseguenza viene classificata all'interno della categoria delle cure (anche se la dizione "clonazione terapeutica" è invisa agli scienziati, ho deciso di usarla per semplicità) e serve a produrre cellule staminali.
Anche che cosa siano le cellule staminali comincia ad essere noto: si tratta di cellule non differenziate (sono invece differenziate le cellule dei tessuti che hanno scelto una specializzazione, ognuna per una cosa e solo quella). In laboratorio è possibile indirizzare le cellule staminali verso la formazione di uno qualsiasi dei tanti tessuti del corpo umano "specializzandole". La scienza è ormai unanime nel ritenere che queste cellule potranno essere utili per la cura di un grande numero delle più gravi malattie che affliggono l'umanità e che il loro impiego rappresenterà una svolta storica nel progresso della medicina.
La terza conseguenza del trasferimento nucleare è la cosiddetta "aploidizzazione" una tecnica ancora sperimentale con la quale si spera di poter produrre gameti (cioè soprattutto oociti, le cellule uovo, un modo per risolvere, ad esempio, il problema della menopausa precoce).
La clonazione riproduttiva viene criticata da molti scienziati e da molti bioeticisti, per una serie di motivi, non tutti, a mio avviso, condivisibili. Condivido invece appieno la decisione di proibirla fino al momento in cui non saremo certi di non far correre ai bambini che nasceranno, rischi malformativi. Coloro che non vorrebbero attendere questa certezza vengono accusati di essere degli avventurieri: forse l'insulto è eccessivo, ma devo ammettere che condivido almeno il sentimento di antipatia che si è diffuso nei loro confronti.
La "clonazione terapeutica" è considerata la miglior fonte possibile (allo stato attuale delle conoscenze) di cellule staminali: le cellule embrionali sono totipotenti (non a caso da una sola di esse si produce un individuo intero) e si possono sviluppare in un arco di specializzazioni che le cellule staminali prelevate da tessuti adulti e quelle prese dal cordone ombelicale non riescono a imitare. In più, prelevando il nucleo da una cellula appartenente ai tessuti di un malato, le cellule staminali prodotte saranno compatibili con lui, il che significa che non produrranno reazioni di rigetto.
Gli embrioni utili per la "clonazione terapeutica", appartengono a due categorie: possono essere prodotti, in vitro, con una tecnica di fecondazione assistita, ad hoc; possono essere prelevati dalle teche dove sono raccolti, congelati, tutti gli embrioni sovrannumerari che le coppie hanno deciso di non utilizzare e che non hanno ormai altra sorte che quella di attendere che, con il passare del tempo si spenga in loro anche l'ultima fiammella di vita. Con qualche eccesso di semplificazione - ma l'argomento è molto complesso - si può dire che in questa fase della ricerca sarebbe meglio poter utilizzare embrioni creati ad hoc.
La critica nei confronti dell'impiego di embrioni umani si basa sulla convinzione, propria della morale cattolica, che l'inizio della vita umana concide con il concepimento, che insomma l'embrione "è uno di noi". Questa convinzione è tutt'altro che condivisa: ne esistono molte altre, del tutto diverse, alcune addirittura all'interno dello stesso mondo cattolico. Stabilire che l'opinione del Magistero rappresenta l'unica verità ammissibile è per lo meno discutibile e suona anche offensivo nei confronti di chi ha opinioni diverse. Se si elimina questa (presunta) certezza, scompaiono in pratica tutte le critiche nei confronti della "clonazione terapeutica" e dell'uso, e scopo di ricerca, sia degli embrioni abbandonati che di quelli prodotti appositamente.
La Commissione Dulbecco, che operò alla fine del 2000 per iniziativa del ministro Veronesi, scrisse, nel documento di maggioranza (ma sono personalmente contrario a contare i voti quando si affrontano problemi come questo) che l'oocita, dopo il trasferimento nucleare, non dà spontaneamente luogo allo sviluppo di un embrione, perché ciò può avvenire solo a seguito di stimolazioni artificiali che lo forzano a diventare blastocisti e che può invece essere indotto a formare "sfere embrioidi" che sono contenitori di cellule staminali e non sono invece embrioni. Su questa possibilità, di produrre cellule staminali evitando la formazione di embrioni, si è molto discusso, anche perché mancava una letteratura scientifica che potesse giustificare questa previsione. Mi sembra molto interessante il fatto che proprio in questi giorni cominciano ad apparire, in letteratura, informazioni preliminari su sperimentazioni che confermebbero la possibilità di percorrere questa via.
La stessa risoluzione maggioritaria, poi, afferma che destinare almeno una parte degli embrioni abbandonati a ricerche dalle quali si possono trarre notevoli benefici per l'umanità non comporta una concezione strumentale dell'embrione né costituisce una mancanza di rispetto per la vita umana, soprattutto se si considera che l'alternativa è lasciare che questi embrioni periscano. Se si bilanciano i valori in gioco, la scelta è inevitabilmente per destinare questi embrioni a ricerche il cui scopo è quello di salvare la vita a milioni di esseri umani.
Quasi nello stesso periodo il Comitato Nazionale per la Bioetica pubblicò un documento nel quale una significativa maggioranza dei membri dichiarava: "La rimozione e la coltura in laboratorio di cellule staminali da un embrione che non può essere più impiantato non significano una mancanza di rispetto nei suoi confronti ma possono semmai considerarsi un contributo, da parte della coppia donatrice, alla ricerca di terapie per malattie difficilmente curate e spesso inguaribili, che deriva da un atto di solidarietà".
Rileggendo i due documenti sono stato ancora una volta colpito dall'elenco di malattie che potranno giovarsi dell'uso di cellule staminali di derivazione embrionale: dai tumori al diabete, dalle malattie degenerative alle conseguenze dei traumi midollari. Milioni e milioni di persone.
Ebbene, di fronte a questa possibilità - ma diciamo pure, anche solo di fronte a questa speranza - la scelta italiana è stata quella di proibire ogni tipo di ricerca sugli embrioni, senza peraltro intervenire sulla possibilità di eseguire ricerche su linee cellulari staminali di origine embrionale che potranno arrivarci da altri paesi (l'Australia si è dichiarata disponibile a fare dono di queste linee cellulari a chiunque ne faccia richiesta). Negli altri paesi europei ci accusano di far fare agli altri il lavoro sporco, pronti semmai a trarre i dovuti benefici dalle altrui scoperte. Ci accusano dunque di ipocrisia. E si chiedono cosa accadrebbe, domani, se si rendesse disponibile un farmaco capace di salvare la vita di molti malati, ma se fosse noto che il farmaco è derivato dalla ricerca sugli embrioni. Si piegherebbero ad utilizzarlo anche coloro che oggi gridano, sdegnati, allo scandalo? Non è una mia personale perplessità ma quella di un mio buon amico francese, scienziato di ottima fama, uomo di buon senso.
Per concludere: esiste, nel paese, un'ampia maggioranza che è convinta dell'opportunità di utilizzare gli embrioni abbandonati per le esigenze della ricerca scientifica, mentre si fa scrupolo di produrre embrioni ad hoc per lo stesso scopo. Penso che dobbiamo accettare il fatto che questa seconda opzione è vantaggiosa, oggi, sul piano scientifico.
Penso che dobbiamo accettare il fatto che la posta in gioco è troppo alta per ammettere preclusioni romantiche e proibizioni dogmatiche. Penso che dobbiamo ammettere che l'Inghilterra è un paese serio, molto serio (lo dico con qualche disagio, perché non potrei dire la stessa cosa dell'Italia) le cui commissioni operano e decidono in base a criteri di onestà intellettuale e tenendo conto degli interessi della società che sono chiamate a rappresentare (e non certo di specifici interessi economici, come è stato maldestramente insinuato).
Da parte mia, credo nell'esistenza di una morale di senso comune, molto più diffusa e penetrante delle morali religiose, che ascolterà la voce della sofferenza e ignorerà la voce dei dogmi.
Università di Bologna