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Unità: Il futuro è del sapere. Ma il Pd lo sa?

Luigi Berlinguer

15/05/2007
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l'Unità

Io credo nel Partito Democratico. Ogni giorno apro i giornali, ed è una doccia fredda: chi è il leader, chi coordina, chi dirige, quale comitato? Deprimente. Ma è possibile che non si pensi ad altro? Si può guidare il Paese a questa maniera? È possibile che non si senta quanto questi giri siano lontani dal mondo, in cui non frega niente a nessuno di questa ginnastica?
Per fortuna c’è anche tanta gente, tuttavia, che non si rassegna, e - appunto - ci crede a questo Partito Democratico. E vuole riproporre i temi, le cose reali, i valori, il programma, i problemi di quadro politico per cui nella società italiana è necessario il Pd. In questi giorni un gruppo di noi ha elaborato un Documento e avanzato una provocazione politica e intellettuale, «Per il Pd». Ma non su chi sarà il leader. Siamo testardi, vogliamo parlare delle cose. Del sapere ad esempio, della cultura, della scienza. E ne vogliamo parlare non più solo tra i Ds, o all’interno della Margherita. No. Il problema interno ai partiti lo hanno già risolto i rispettivi congressi, e bene, ad un buon livello.
Ne vogliamo parlare fuori dai vecchi schemi partitici, con iscritti alle vere forze politiche e non iscritti ad alcuna di esse. Pensando a fondare un nuovo organismo, nuovo davvero. Ricco di grandi tradizioni, ma nuovo, non nostalgico. Ranieri, Fioroni, Nicolais, Tocci, grossi personaggi politici, e tanti altri con nomi meno altisonanti, siamo i primi firmatari: tutti convinti che il tema del sapere sia una delle grandi novità di questa ricca stagione storico-politica, per il modo in cui oggettivamente esso si pone, ed in grado, inoltre, di unire intorno all’Ulivo forse essenziali e molteplici della società italiana.
Perché il sapere non è un tema settoriale, uno dei tanti capitoli di un programma. È una lettura della società odierna, nel mondo. «Il sapere è libertà, facoltà di scegliere la propria vita e le proprie vocazioni. In un futuro ormai presente non c’è vera libertà senza sapere», recita il nostro documento. Il sapere è la democrazia moderna, che è basata su scelte autonome e consapevoli e non su irrazionali emozioni sociali o su paure o deleghe fideistiche assolute. Il sapere è l’alimento del dialogo, del rispetto dell’opinione altrui, di una vera convivenza civile, proprio per la sua intrinseca laicità rispetto alla verità; il sapere è oggi base fondamentale dello sviluppo (specie sostenibile), è divenuto persino base moderna di una azienda vivace e innovativa, di una nuova concezione del lavoro e dell’impresa. Nella cultura della «responsabilità sociale dell’impresa» gli stateholders sono componente economica essenziale quanto gli shareholders (azionisti). Nel corso della recente grande iniziativa della Università Bocconi a Milano su «Economia e Società» mi è accaduto di dibattere con imprenditori sul peso odierno della cultura nella stessa gestione aziendale, e si è sottolineato che oggi non è rilevante soltanto il valore d’uso di un prodotto, che certo conta, ma anche il suo valore evocativo. Si compra quel prodotto non solo perché serve, ed è buono, ma anche perché «piace», risponde a requisiti «estetici».
In altre parole, il sapere, oggi, è la società moderna. La quale può crescere e cresce non solo se soddisfa bisogni, ma se meraviglia, stupisce, soddisfa anche la curiosità di sapere ciò che non si sa, e trova in questo gli stimoli e le risposte proprio alle questioni del suo sviluppo.
Si è internazionalizzato il mondo, e in esso anche tanti paesi e città dove viviamo. Le vecchie identità si sfumano, si allargano, si mescolano, diventano multietniche e assorbono dentro se stesse una complessità leggibile soltanto con molto sapere, molto più di quello ieri necessario. Un mondo multicolore gira nelle nostre strade, lavoro a fianco a noi, entra nelle classi scolastiche, e porta nuove identità, nuova cultura che diventano tutte sapere, più ricco, nuovo. Certo, producono tanta insicurezza, cui va data risposta, altrimenti vince la destra, che la sa sollecitare e interpretare; poiché la destra è paura, non serenità e si ingrassa con la paura! Va data risposta con più sapere, per imparare a leggerne e interpretarne la ricchezza e la complessità che è dentro di noi. Ma intanto tutto ciò esiste ed è inarrestabile.
Il sapere è quindi la vera priorità per un partito nuovo, lo è per certo per il Pd almeno, noi così vogliamo, e lo chiederemo con energia. «Una priorità praticata, non solo predicata», recita ancora il nostro documento. C’è una punta di indignazione in questa puntigliosa precisazione. Ci siamo un pò stufati di uno degli aspetti più brutti e deludenti della politica, che spesso fa prediche e poi si rimangia la promessa con la massima disinvoltura.
Da ultimo, a Caserta, il sapere è diventato la priorità del programma, dopo la pace. E poi? Non so, speriamo. Si sentono però delle brutte voci, che non se ne faccia niente. Noi diciamo con estrema forza che quest’anno, per la ricerca, occorrono massicci investimenti, va cambiata la tendenza che ci ha collocato in coda nel mondo evoluto: si smetta di dirlo e di non farlo. Non si può più attendere. La tesi che non ci sono soldi sufficienti per la ricerca, che gli studiosi devono soffrire la fame per divenire virtuosi, è una bestemmia idiota, inaccettabile. Appartiene a chi non conosce che cosa è il Cern a Ginevra, il laboratorio del Gran Sasso, Trieste, Frascati, etc. etc... Se vogliamo stare nel mondo si sappia che la ricerca è indispensabile, e costa tanto; che altrove si fanno passi da gigante e investimenti enormi, e che noi perdiamo continuamente posizioni. Basta! Su questo fronte il Pd non deve tollerare ambiguità. Il nostro documento è un ragionamento pacato e serio, ma è anche un grido, non un testo accademico. È un grido di allarme. Non possiamo accettare che questo (buon) Governo perda questo treno, e con esso il Paese. Attenzione, perché non abbiamo nessuna voglia di tollerarlo.