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Unità: Il Governatore non sbaglia: con la matematica siamo a zero

Michele Emmer, illustre professore, commenta la nostra difficoltà con la materia dei numeri, studiata senza entusiasmo

02/06/2006
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l'Unità

Narra un testimone oculare della difficoltà dei nostri parlamentari, discutendo di maggioranze più meno qualificate, a capire quale fosse la frazione più alta tra un terzo, due quinti, quattro sesti... Tanto per dimostrare che la scarsa attitudine alla matematica non è solo dei giovani, come dichiarava l’altro giorno il governatore della Banca d’Italia nella sue considerazioni finali: «A quindici anni gli studenti italiani hanno accumulato un ritardo nll’apprendimento della matematica equivalente a un anno di scuola: secondo un’indagine Ocse, l’Italia figura al ventiseiesimo posto su ventinove paesi...». Si potrebbe aggiungere che recenti disastri culturali e progressivo degrado scolastico potrebbero indicar male anche per una infinità d’altre materie. Vedi, a riprova parlamentare, le interrogazioni delle Jene televisive ai danni di alcuni nostri deputati, che collocavano la rivoluzione francese tra il seicento e l’ottocento, mai al punto giusto.

«Anni fa secondo l’Ocse stavamo anche peggio», ricorda Michele Emmer, che è un matematico, insegna all’università di Roma e che da anni cerca di spiegare valore e bellezza della matematica. Tanto ritardo, secondo lui, è colpa degli insegnanti e il buco nero è la scuola media: poco investimento si fa sulla formazione dei professori, che tendono a insegnare ripetendo formule, senza provare e senza soprattutto riuscire a alimentare interesse e entusiasmo tra i giovani. E se non c’è interesse, non si studia e non si impara: ci si annoia.

Eppure l’Italia ha tradizione di grandi matematici e di grandi matematici ne schiera ancora, come Enrico Bombieri (Milano, 26 novembre 1940), che vinse nel 1974 la medaglia Fields, autentico Nobel o autentica Olimpiade del genere (si assegna ogni quattro anni) e che ora insegna a Princeton. «Ma negli ultimi sessant’anni - racconta Emmer - è stato l’unico italiano premiato. I nostri giovani partecipano alle gare, ma alla fine a vincere sono sempre i russi, i cinesi e i coreani».

Perchè? È la solita storia delle nostre passioni umanistiche e della relativa subalternità delle scienze? È colpa del pregiudizio che assegna il primato ai licei classici piuttosto che agli scientifici? «Ho frequentato il liceo classico e non me ne sono mai pentito. Quando mi trovai a far parte di una commissione del ministero della pubblica istruzione, proposi provocatoriamente di abolire i licei scientifici. Tutti al classico. Al matematico serve studiare il greco e il latino, serve una cultura profonda che aiuti a capire quali sono le domande giuste e a scoprire i problemi nuovi. I licei scientifici sono per gli ingegneri. Come diceva Musil, nell’”Uomo senza qualità”, nella matematica c’è l’essenza dello spirito, mentre l’ingegneria ha bisogno di ricette... Ci portiamo appresso un vecchio retaggio un vecchio e banale senso comune. Quando Einaudi pubblicò in Italia il libro di Enzensberger, “Il mago dei numeri”, io lo recensii sull’Unità parlando di numeri e di matematica, tutti gli altri critici disquisirono sulle qualità letterarie».

E il richiamo del governatore? «Ha ragione, ma lui non ha bisogno di grandi matematici. Ha bisogno di matematici svelti a preparare modelli econometrici utili alla Banca d’Italia».