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Unità: Il ministro pensa che le donne siano fannullone

intervista a Valeria Fedeli segretaria generale della Filtea-Cgil

14/12/2008
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l'Unità

La sindacalista dei tessili della Cgil denuncia

il paternalismo e la discriminazione del piano

«Non siamo una categoria di assenteiste» Discriminazione? Brunetta parla di discriminazione? Sa o no il ministro che la peggiore discriminazione è applicare regole uguali a condizioni diverse?». Una replica secca, quella di Valeria Fedeli, segretaria generale della Filtea-Cgil, alle dichiarazioni - «disarmanti» - di Renato Brunetta. «Basta con l’ottica di compensazione, di discriminazione, con l'ottica paternalista», ha detto il ministro.

Troppo?

«Davvero troppo. Parlare di età di pensionamento significa partire dalla coda di un problema che inizia altrove. Inizia quando le donne devono essere assunte, quando vanno in maternità, quando devono seguire i figli e anche i genitori anziani. C’è ancora una società e un mondo del lavoro che continua a considerare la donna non come una risorsa, ma come una minaccia di assenteismo».

Nel pubblico impego le donne sono molte.

«Sì, ma anche lì se si vanno a guardare i livelli retributivi e le progressioni di carriera si scopre altra discriminazione. Brunetta dimentica forse che le donne vanno in pensione a 60 anni con venti anni di anzianità perché non riescono ad accumulare più anni di contributi».

Sembra lo stesso destino degli atipici.

«Esattamente. Quello che serve è un nuovo welfare che aiuti la donna a lavorare, così come per i giovani servono tutele. Invece si è prima precarizzato, e le tutele ancora non ci sono. Voglio dirlo a Brunetta: anch’io spero che le donne vadano in pensione alla stessa età degli uomini. Ma per arrivare a quel risultato, le priorità sono altre: gli asili nido, l’assistenza agli anziani. E soprattutto serve che il lavoro di cura sia condiviso con gli uomini, per esempio rendendo obbligatorio il congedo parentale per i padri. Oppure servirebbe un fisco che punisse i mariti separati che non versano gli alimenti alle ex mogli».

Come la mettiamo con la Corte europea che chiede l’equiparazione?

«Quella sentenza riguarda il pubblico impiego ed è superabile con una modifica formale dello status di pubblico dipendente in Italia. Il Pd sta già preparando l’emendamento. Quanto a richiami europei, ce ne sono stati molti anche sull’accesso al lavoro delle donne, e sulle discriminazioni salariali. Ma il governo non li ha recepiti. Anzi: addirittura si è arrivati a reintrodurre la possibilità di dimissioni in bianco».

Che significa lanciare questi slogan in tempi di crisi?

«Ecco, questo è l’altro punto davvero grave. In un momento di crisi nera, le donne, con i giovani precari, sono le prime vittime. Sono quelle che vengono espulse prima. Con effetti devastanti sui redditi familiari. Continuare a chiedere ai lavoratori di “pagare” perché si è in crisi, significa non saper leggere la crisi. Siamo in un momento di caduta della domanda: se non si sostengono le famiglie non si esce dalla gelata. Invece il governo continua a “bastonarle”, inserendo nell’agenda falsi problemi, e lasciando inevasi quelli veri. Tipo, la debolezza strutturale dell’Italia, la sua arretratezza se vogliamo anche culturale, che pesa tantissimo sulle donne. Nessuno riconosce il valore del loro doppio lavoro. Il ministro Brunetta guardi a questo, invece di lanciare la crociata sull’età pensionabile. Se ci si ferma a questo è chiaro che si sta puntando solo afare cassa sulle spalle delle donne».

In questo modo le donne pagherebebro i costi della crisi?

«Certo. Ma il ricavo è risibile, rispetto al danno che provocherebbe questa misura. Sacconi parla di un risparmio che non supera i 250 milioni, se limitato al pubblico impiego. Ma quante famiglie resterebbero senza aiuto e senza soldi?».