Iscriviti alla FLC CGIL

Home » Rassegna stampa » Rassegna stampa nazionale » Unità: Il paradosso dell’Italia: non credere alla ricerca

Unità: Il paradosso dell’Italia: non credere alla ricerca

Carlo Bernardini

12/11/2006
Decrease text size Increase text size
l'Unità

Probabilmente, la frase del Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano sul carattere paradossale dei tagli all’Università nella legge finanziaria passerà alla storia, come il celebre «non siamo insensibili al grido di dolore che da tante parti d'Italia si leva verso di noi», di antica memoria. È un segno di altissimo coinvolgimento della coscienza del Paese nell'attenzione di cui ha bisogno una delle più importanti strutture di costruzione del futuro della intera collettività nazionale: è in questo che si riflette il senso pieno del Suo essere il «Presidente di tutti gli italiani».
La dichiarazione, pronunciata a fine ottobre, si inserisce in un dibattito acceso che sta tuttora animando la popolazione su un grande numero di gravi problemi; non è facile attirare l'attenzione distinguendo i problemi di tutti da quelli di particolari gruppi sociali. Per molti di noi che hanno registrato troppi esempi di avventurismo politico nella passata legislatura, il caso delle istituzioni formative e del reclutamento dei giovani alla ricerca è stato particolarmente drammatico per l'ostinata ideologia aziendalistica che ha portato quei ministri a paralizzare l'impianto culturale che aveva contribuito a costituire una grande tradizione e un glorioso passato. La mancanza di occasioni di lavoro per i neolaureati, l'esiguità dei finanziamenti, la concezione manageriale dei programmi di attività hanno portato a una situazione di perplessità grave di più di una generazione di giovani aspiranti alla continuazione delle imprese scientifiche. Nonostante la protesta si levasse autorevole e molto diffusa già al tempo in cui l'ossigeno veniva fatto deliberatamente mancare all'università e agli Enti di ricerca ad essa collegati, la politica e la pubblica opinione non sembravano registrare la centralità dell'accelerazione del «dramma culturale» che l'Italia stava attraversando.
Il Presidente Napolitano l’ha riproposto in tutta la sua rilevanza, il che esige che a tutti sia chiaro il motivo importantissimo della sua preoccupazione, nei termini più generali possibili.
La democrazia è un terreno difficile di affermazione delle buone idee individuali: bisogna saper argomentare efficacemente le proposte per mandarle avanti. Per argomentarle adeguatamente sono necessarie le competenze, ma queste, nella cultura contemporanea, hanno raggiunto un elevato grado di complessità: è il segno più clamoroso di un pensiero collettivo estremamente evoluto, anche se non ancora accessibile a tutti. La complessità delle scienze e del pensiero contemporaneo non può che essere elaborata in sedi in cui è oggetto di studio e di ricerca: dunque, la scuola e la formazione superiore. Ma a poco serve che uno su un milione di individui acquisti le competenze: le strutture formative devono essere pubbliche e accessibili a tutti, perché tutti abbiano occasione di cimentarsi ad entrare nella storia della cultura umana. Ogni contributo, grande o piccolo, è un mattone della casa in cui aspiriamo a vivere. Tutti i giovani che approfittano delle offete formative devono poi avere la possibilità di competere intellettualmente in una comunità di esperti e di inserirsi rapidamente in essa grazie al loro valore.
I capaci e meritevoli della nostra costituzione sono di più di quanto si immagini e non si fanno avanti per arricchirsi oltre il giusto ma per appartenere a quella grande famiglia intellettuale che ormai ha acquistato carattere mondiale. Niente come la cultura appiana i contrasti di interessi e gli egoismi dell'inciviltà. Giorgio Napolitano è un depositario ben noto di questo modo di pensare ed a questo ci ha ancora una volta richiamati. Muoviamoci.