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Unità: Il primo giorno: essere e avere o avere è essere? Parto da lì

Diario di una professoressa. «La sgradevole sorpresa di due seconde liceo accorpate in un’unica classe: 29 alunni»

17/09/2008
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l'Unità

di Marina Boscaino

Metto il cellulare in silenzioso: è un gesto automatico, varcando l’ingresso. Non è il momento dei commenti, del ritrovarsi dopo più di un mese di assenza dalla scuola: la maggior parte dei colleghi li ho già rivisti, durante la lunga preparazione - troppo piena di formalità, troppo scarsa di elaborazione - al nuovo anno scolastico. Il senso dei blocchi di partenza, quello c’è sempre, anno dopo anno: e si tratta di una sorta di tensione necessaria e salvifica per non abbandonarsi all’assuefazione di una ciclicità alla quale - anno dopo anno, appunto - attraverso la fiducia un po’ velleitaria del primato della volontà, alcuni di noi si oppongono ostinatamente, ma con sempre minore convinzione. In una scuola superiore che non rinnova più se stessa e, in maniera autoreferenziale, si fossilizza su un criterio conservativo che le sta progressivamente sottraendo senso.

Campanella: chi non ne ricorda il suono familiare, a volte minaccioso, a volte liberatorio? Loro entrano alla spicciolata: ti scopri a scrutarne i visi, i cambiamenti, la crescita. Le espressioni del volto li selezionano automaticamente: disorientate, a volte spaventate quelle dei ragazzi di IV ginnasio. A proprio agio, in queste belle giornate di sole di settembre, quelle dei più grandi: i veterani, abbronzati, confidenti, spigliati; i veterani, imbronciati, chiusi, scettici. Sigarette, moltissime. Succhiate con foga inesperta e gettate via prima di entrare, in una fiumana di look differentissimi, talvolta espressione di persone che tentano di esistere anche attraverso il linguaggio del corpo... in barba ai grembiuli di tutti i tempi. Visi conosciuti, anche se non appartengono alla tua classe, che ti salutano, magari perché ti hanno sentito parlare con passione in un’assemblea, o hanno letto un articolo, o si sono sentiti appoggiati in consiglio di istituto; o, semplicemente, durante un’ora di supplenza, hanno chiacchierato con te: la prof. che scrive sul giornale, quella severa, quella che parla di cittadinanza (... in barba alla new-educazione civica, possibile fonte di conformismo sociale informato a una pericolosa "pedagogia di Stato"), quella che ride e si veste "bene". Quella "compagna": una definizione di basso uso, ormai, ma che alcuni generosamente continuano a impiegare. Nonostante nell’89 non fossero ancora nati. Due classi vecchie, una nuova: il triennio del liceo, italiano e latino. Dove eravamo rimasti? Ritrovarsi su Foscolo e sul G8 di Genova: un connubio interessante. Amori trascorsi, tramontati come sta passando questa estate stemperata in giorni sempre più tiepidi, in tramonti sempre più precoci: lo scorso anno abbarbicati uno all’altra a consumarsi il viso di baci durante la ricreazione. Oggi poco più che estranei, cortesi o scortesi; o amici per la pelle. La sgradevole sorpresa di due seconde liceo accorpate in un’unica classe: 29 alunni compressi in un’aula insufficiente. Un regalo delle illuminate politiche scolastiche. Dove eravate arrivati con il programma di italiano? Silenzio, risposte elusive, imbarazzo; un gioco vecchio come il mondo: la colpa è sempre dell’insegnante che non c’è più. Il rituale del primo giorno di scuola prevede la visita dei "vecchi", di quelli che hanno fatto l’esame di stato solo due mesi fa: sorridenti, vicini e lontani, distesi, disponibili. Ritornano per vedere l’effetto che fa stare dentro essendo ormai fuori. Ma ritornano a volte anche per ricordarti - con lo sguardo, con il sorriso, con il tono - o dirti, con le parole, che li hai aiutati a capire. Ed è davvero l’unica attestazione significativa che dà senso oggi a questo lavoro.

Fine di questo ennesimo primo giorno di scuola, computer dell’aula docenti. Scarico una mail, inviata da un amico insegnante alla presa con l’autopresentazione di una classe di quattordicenni del primo anno di un professionale: "mi chiamo D.B. I miei difetti sono: non ho l’Ipod e una play station; ho poca fiducia in me stesso, sono disordinato, non ho mai voglia di fare qualcosa". Essere e avere; o avere è essere? È a questa agghiacciante domanda che una buona scuola può rappresentare una risposta efficace. Ed è per questo che da oggi - tra un riepilogo della sintassi latina e l’introduzione del romanzo epico-cavalleresco - comincerò a parlare con i miei ragazzi della cosiddetta "riforma Gelmini".