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Unità-Il "sentire comune" nella scuola

Il "sentire comune" nella scuola di Andrea Ranieri La Fondazione Italiani Europei ha aperto una discussione sulla scuola e sulle priorità che il centro sinistra dovrà darsi una volta tornato al...

27/10/2003
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l'Unità

Il "sentire comune" nella scuola
di Andrea Ranieri

La Fondazione Italiani Europei ha aperto una discussione sulla scuola e sulle priorità che il centro sinistra dovrà darsi una volta tornato al governo. Alla discussione ho partecipato anche io insieme a tanti valenti amici e compagni che in questi anni nella scuola e sulla scuola hanno speso impegno intellettuale ed energie.
Il Corriere della Sera ha dato notizia dell'iniziativa, collegandola al documento del "buon senso", varato da un gruppo di intellettuali "bipartisan" impegnati a deideologizzare, superando la logica degli schieramenti contrapposti, la discussione sulla scuola. Il "buon senso" si sintetizzerebbe in queste due proposizioni: "non si può cambiare tutto nella scuola ogni volta che cambia il governo"; "la scuola è di tutti, e quindi è necessario individuare un sentire comune oltre gli stessi schieramenti politici, da mettere alla base delle politiche scolastiche". Due affermazioni sensate che però devono, per non risultare equivoche e fuorvianti, essere raffrontate alla situazione attuale della scuola e agli effetti che hanno su di essa le politiche del governo.
La scuola non è oggi turbata dal timore che il centro sinistra tornato al governo possa cambiare di nuovo tutto; è turbata dai cambiamenti in atto, dalle politiche insensate di questo governo che riducono l'autonomia delle scuole, la loro capacità di rispondere alle richieste della società e delle famiglie, e si aspetta da noi che arginiamo oggi gli effetti perversi di queste politiche, per riprendere dal governo un percorso riformatore.
La parte della scuola più colpita è quella che in questi anni si è più impegnata nelle riforme e nella innovazione. In quelle innovazioni reali che hanno preceduto la stessa riforma Berlinguer-De Mauro e che hanno trovato in quella riforma un punto di riferimento. Penso alle maestre e i maestri che hanno fatto della scuola dell'infanzia italiana la migliore del mondo; a quanti si sono impegnati per concepire e praticare il ciclo di base come ciclo unitario; agli insegnanti, alle famiglie, agli amministratori, che hanno saputo col tempo pieno collegare il sostegno ai genitori che lavorano ad un percorso educativo ricco ed impegnato; a quanti hanno lavorato per introdurre la cultura dell'innovazione tra sapere e saper fare, perché la scuola potesse essere davvero di tutti e di ciascuno. E ai tanti amministratori locali che hanno cominciato ad esercitare un ruolo politico, e non solo di mero supporto logistico, verso le scuole dell'autonomia e le domande che esse rivolgono al territorio. La loro preoccupazione non è se faremo o meno "tabula rasa" dei provvedimenti della Moratti; è che i provvedimenti della Moratti non facciano "tabula rasa" della creatività, dell'innovazione e dell'autonomia della scuola italiana.
La politica del governo di centro destra sulla scuola è una politica di parte. Che è stata decisa senza nemmeno provare a coinvolgere, non dico l'opposizione politica, ma nemmeno le esperienze più partecipate e condivise di trasformazione presenti nella scuola, il mondo della cultura che la scuola ha pensato e interpretato. È stata decisa sulla base dei numeri in Parlamento e di un'ideologia frammista di liberismo e di centralismo liberale che contraddistingue tutta l'azione di questo governo e che sta causando il declino economico, sociale e culturale del Paese. E che sta perdendo consensi, anche nella scuola.
Questa crisi di consenso dobbiamo allargarla e approfondirla, se non vogliamo che la scuola italiana continui ad essere traumatizzata e sconvolta, continui a vivere nell'insicurezza e nel timore delle prossime mosse del governo di centro destra. Quell'insicurezza che ad esempio oggi rende impossibile progettare il futuro ai dirigenti, agli insegnanti, agli studenti degli istituti tecnici e professionali a cui per ora è stato solo comunicato che non saranno più quelli di prima.
Per far questo dobbiamo rendere esplicito che non avremo esitazioni se saremo richiamati a governare a mutare profondamente quei provvedimenti che mettono in discussione l'autonomia delle scuole, che usano in maniera impropria il Titolo V della Costituzione per giustificare la separazione rigida e precoce fra i licei e l'istruzione e formazione professionale, che tendono a trasformare la scuola delle pari opportunità per tutti in un servizio a domanda individuale in cui il futuro dei bambini, dei ragazzi, dei giovani, è segnato dalle condizioni sociali e culturali delle famiglie da cui provengono.
Lo faremo, come abbiamo sempre fatto, confrontandoci con tutti, cercando il più possibile il "sentire comune", ma sapendo che questa stessa ricerca è utile e feconda se è saldamente ancorata a un orizzonte di valori e ad un popolo, quel popolo che crede al futuro della scuola della Repubblica, alla sua vitalità, alla sua capacità di innovazione e di riforma.
Questo popolo non vive la legge Moratti come una riforma che è succeduta a un'altra riforma. La vive come una legge di piccolo sabotaggio e di modesti orizzonti culturali che ha come obiettivo principale quello di bloccare il processo di riforma attivato dal governo di centrosinistra e di ridimensionare in qualità e in quantità l'offerta pubblica di istruzione. Ritengo che abbia ragione, e che ogni ambiguità in proposito sia estremamente pericolosa specie mentre siamo impegnati a discutere di un nuovo soggetto politico riformista, che tra le altre cose dovrebbe rendere chiaro a tutti che i riformisti siamo noi, non loro.

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