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Unità: «Il telefonino deve essere vietato, come a teatro»

GIOVANNI BOLLEA Per lo psichiatra dell’infanzia va «ricostruito il rapporto con i ragazzi. E la scuola non è solo un distributore di diplomi»

19/02/2007
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l'Unità

di Massimo Franchi / Roma

«Non è diminuita l’autorevolezza della scuola, è diminuito il rapporto genitori-scuola e genitori-figli». Con la lucidità che solo un 93enne come lui può avere, Giovanni Bollea è «preoccupato, ma ottimista» per il futuro della scuola italiana. Gli episodi di cronaca che hanno fatto parlare di emergenza bullismo portano il neuropsichiatra infantile a chiedere «a tutti un’assunzione di responsabilità». Ieri ha accolto il suo sesto pronipote (Francesco) che come tutti gli altri crescerà con la massima del bisnonno: «Un bambino felice sarà un adulto maturo».

Professor Bollea, non passa giorno che non si parli di bullismo e filmati pornografici su internet. Cosa sta succedendo agli adolescenti italiani?

«Da sempre l’adolescenza è un momento di scombussolamento. Oggi poi abbiamo un più veloce sviluppo dell’intelligenza: i ragazzi dai 10 ai 13 anni sono più precoci, dal punto di vista intellettivo sono al livello di un 15enne di 20 anni fa. Di diverso ci sono stampa, tv e internet che amplificano esempi deleteri che possono rovinare anche le belle intelligenze: non devono essere educate con “Saranno famosi” o lavori consimili. Su internet la creazione di filtri da frapporre in modo che certi esempi e settori non siano alla portata di tutti è da auspicare».

E la scuola come può attrezzarsi per evitare che accadano cose del genere?

«Il fenomeno del bullismo è cambiato. Una volta avveniva prevalentemente in classe, ora è invece fuori dalle aule che gruppi di compagni rubano il telefonino o picchiano i loro coetanei. Il problema è che con questi episodi la scuola si sente troppo sotto accusa da parte di media e genitori e quindi non riesce a reagire e a portare avanti al meglio la sua funzione educativa. Quasi tutti gli episodi sono a sfondo sessuale: ebbene, perché a scuola non si fa educazione sanitaria o sessuale? A 15 anni si è nel momento più difficile della maturazione sessuale. Bisogna parlare di questi temi, guidando gli adolescenti ed evidenziando i pericoli che poi i genitori devono riprendere nel rapporto con i figli stando più con loro».

E sull’uso dei cellulari a scuola qual è la sua opinione? Il ministro Fioroni ha detto che non vanno proibiti.

«Abbiamo abbandonato la divisa scolastica, però abbiamo aperto le porte al telefonino. Ora, la scuola è qualcosa di più delle sale da divertimento e il cellulare deve essere ritirato all’entrata e il suo uso vietato come a teatro o in un salone da musica. Questo non deve essere vissuto come un proibizionismo, ma come una norma di civiltà e di rispetto».

Lei insite spesso sul rapporto scuola-genitori. Cosa non funziona oggi?

«I genitori vedono la scuola solo come un distributore di diplomi e non come un formidabile aiuto educativo: è sbagliato e può portare ad una scorretta valutazione della funzione della scuola da parte dei loro figli. Se non c’è fiducia reciproca fra insegnanti e genitori non si va lontano».

E la funzione di media?

«Mi sento di rilanciare l’invito che feci anni fa ai direttori di giornale nel corso di un convegno a Trento. Gli lanciai questa sfida: se il fatto che pubblicate riguardasse vostro figlio, come vi comportereste? Ecco, la stampa non deve propagandare episodi di offesa sessuale che riguardano minori».

Scuola, genitori e media: tutti assieme con quale obiettivo e con quali strumenti?

«L’obiettivo deve essere quello di venire incontro ai desideri, dare risposte ed interessare i ragazzi per formare dei cittadini. Per ottenerlo io avevo già proposto di far votare i ragazzi almeno per le elezioni amministrative già a 16 anni. In più c’è un problema del salto tra il diploma e il mondo del lavoro e allora credo che alla fine delle superiori bisogna creare degli educatori d’indirizzo per guidare i ragazzi alla scelta giusta. Infine i media dovrebbero dare risalto ai tanti giovani che fanno, ad esempio, volontariato».

In conclusione, è ottimista per il futuro della scuola italiana?

«Sì, perché la scuola italiana è ancora una delle migliori in Europa. Senza lasciarsi prendere dal negativismo ha le risorse per formare nel modo più aperto ed europeo le nuove generazioni».