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Unità: Il valore dei giovani

Finalmente si parla di giovani. Studenti, disoccupati, precari, laureati, frustrati o realizzati, poveri o ricchi, giovani insomma, in tutte le declinazioni.

01/06/2006
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l'Unità

Rinaldo Gianola
La sfida
Finalmente si parla di giovani. Studenti, disoccupati, precari, laureati, frustrati o realizzati, poveri o ricchi, giovani insomma, in tutte le declinazioni. Mario Draghi ha probabilmente diversi meriti, di stile e contenuti che altri riconosceranno nell’analisi delle sue Condiderazioni finali, ma a noi piace, forse con una forzatura, individuare nei giovani la centralità della sua relazione. Ci sono almeno due grandi capitoli che Draghi dedica ai giovani, come fattore decisivo di sviluppo e di emancipazione del Paese: il primo riguarda l’occupazione e la precarietà del lavoro.
ei contratti atipici». E fino a qui siamo nella normalità, cose che si possono sentire in Bankitalia o in Confindustria. Ma l’analisi di Draghi riconosce che la precarietà è dannosa per i giovani e per le stesse imprese se si trasforma da fenomeno momentaneo in condizione perenne di occupazione. Se (i contratti atipici) «divengono un surrogato dell’ordinaria flessibilità dell’impiego, impediscono a molti giovani di pianificare il futuro, riducono gli incentivi dell’impresa a investire nella loro formazione, frenano la produttività del sistema».
È un riconoscimento importante, proprio per l’autorevolezza di chi pronuncia queste parole, delle condizioni in cui si trovano milioni di giovani che lavorano in situazioni “atipiche” nonostante l’introduzione di leggi che avrebbero dovuto sanare queste emergenze.
Ovviamente nessuno, tanto meno Draghi, pensa al posto fisso dei nostri nonni e dei nostri padri, ma ci sono «motivi di efficienza e di equità che sia ridotta la segmentazione del mercato, stabilendo regole più uniformi, in base a cui il lavoro acquisisca stabilità col passare del tempo». In più, visto che dobbiamo abituarci a cambiare più volte occupazione nel corso della nostra vita per il mutato scenario economico e competitivo italiano e internazionale, il Governatore suggerisce, mutuando una formula già ipotizzata da vari studiosi, di «tutelare il lavoratore piuttosto che il posto di lavoro, assicurandogli una indennità di disoccupazione dignitosa e non distorsiva e concrete opportunità di formazione e riorientamento».
Il secondo punto è relativo all’istruzione e alla valorizzazione dei nostri giovani. Questo è un campo di grande sfida, soprattutto per la sinistra di governo. Possibile che i nostri giovani siano destinati a stare in famiglia fino ai trent’anni e passa, con contratti precari, senza avere occasioni di lavoro, di promozione sociale e professionale? Perchè trattiamo così male la parte più vitale della nostra società? Ecco. Draghi, elencando le lacune del sistema economico e produttivo, sostiene che la crisi di produttività è determinata anche dalla carenze di capitale umano e denuncia il «grave spreco causato dal basso impiego del segmento più vitale, più promettente della popolazione: tra i venti e i trent’anni il tasso di occupazione italiano è inferiore di dieci punti rispetto alla media dell’Unione europea».
Non basta: nel 2003 le quote di diplomati e laureati nella fascia d’età fra i 25 e i 64 anni erano in Italia rispettivamente pari al 34 e al 10 per cento del totale contro medie del 41 e del 24 per cento nei paesi dell’Ocse. Draghi aggiunge un dettaglio significativo e polemico, condivisibile da tutte le famiglie che hanno dei figli a scuola: «A quindici anni gli studenti italiani hanno accumulato un ritardo nell’apprendimento della matematica equivalente a un anno di scuola: secondo un’indagine dell’Ocse, l’Italia figura al ventiseiesimo posto su ventinove paesi». Insomma studiamo poco, male e non sappiamo la matematica. Di fronte a questa vera e propria emergenza Draghi sostiene che dovremmo guardare all’esempio di altri paesi (come Svezia, Finlandia, Regno Unito) che hanno migliorato il rendimento del sistema di istruzione e ricerca sviluppando la competizione fra scuole e fra università. «Prima ancora che maggiori spese, occorrono nuove regole che premino il merito di docenti e ricercatori» è la conclusione di Draghi.
Probabilmente il governatore pensava alle sue personali esperienze all’estero, ma anche a tanti giovani italiani, studenti e ricercatori, che solo superando i nostri confini, hanno viste riconosciute le loro capacità, la loro preparazione, la loro voglia di crescere. Gli italiani all’estero, studenti o professionisti, emergono con successo, si battono nella competizione, sfidano e vincono altre regole di merito di altri sistemi. Perchè non possiamo farlo anche noi? Ma mentre Draghi pronunciava queste parole pensavano sconsolati all’età media di certi azionisti di maggioranza delle imprese italiane, seduti ieri a Palazzo Koch, di certi consigli di amministrazione dove è difficile trovare qualcuno sotto i cinquant’anni e di quella strana via italiana al capitalismo per cui le imprese non si creano, ma si ereditano.