Unità: Intervista a Guglielmo Epifani
Subito cogliere la ripresa poi la manovra sui conti
PRIORITÀ
La prima intervista del segretario della Cgil, Guglielmo Epifani, dopo la nascita del governo di centrosinistra, e la prima preoccupazione, rispondendo al ministro dell’Economia: dare corpo e prospettive alla crescita per ritrovare anche la stabilità nei conti pubblici
Guglielmo Epifani, segretario della Cgil, dopo l’incontro con il ministro del Lavoro, Cesare Damiano («utile, positivo»), commenta la prime analisi del ministro dell’Economia, Padoa Schioppa, con cautela. Non c’è stabilità, fa difetto la crescita, ha osservato Padoa Schioppa: «Siamo tornati agli anni novanta». «Considerazioni giuste - osserva Epifani - anche se è da cogliere l’invito del ministro a considerare bene i dati, prima di prospettare soluzioni. La nostra convinzione è che la crescita possa aiutare a ritrovare stabilità. Quindi che si debbano evitare manovre che possano compromettere quella crescita che si potrebbe delineare. Proprio la ricerca di un difficile equilibrio dovrebbe indurre tutti a riprendere la strada del confronto: governo, sindacati, impresa, parti sociali insomma, ma anche enti locali nella loro articolazione».
Dopo i conti pubblici, lo scandalo che più appassiona gli italiani: mi pare che lei sia tra i pochi a non aver ancora commentato le note ultime vicende calcistiche. Un bel danno per il nostro made in Italy?
«Il calcio è lo sport più popolare al mondo e noi eravamo quasi in cima alla scala della popolarità mondiale. Ci stiamo lasciando alle spalle le vicende Cirio e Parmalat, presentiamo questo altro biglietto da visita. Prima e adesso sono stati offesi principi di legalità e di rispetto delle regole e si è dimostrato quanto sia radicata l’idea che conti solo vincere a prescindere dai modi. Una cultura che ha qualche cosa a che fare con il centrodestra...».
Il peso, troppo, che si dà al successo. Parliamo di governo. Cominciamo dai ministeri?
«Intanto deve cominciare il governo e cominciare con il piede giusto. Le attese sono tante e c’è il rischio della sproporzione, per quantità e qualità, con le possibilità di risposte. Si dovrebbero evitare errori. Ma anche la scelta di dividere i ministeri rischia di risultare un errore: su diciotto ministeri con portafoglio, tredici, di poco o di tanto, sono cambiati. Con la conseguenza di incomprensioni, sovrapposizioni, contrasti. Adeguare l’organizzazione alla divisione e ai compiti è un passaggio delicato, che chiederà tempo e accordi integrativi. Per questo le organizzazioni di categoria hanno invitato al confronto. Credo che la regia di Palazzo Chigi debba garantire una riorganizzazione sistematica, altrimenti si creano situazioni fuori controllo».
Non si può lasciare che ciascuno s’aggiusti alla sua maniera.
«Dò per scontato e giustificato l’attivismo dei singoli ministri. Ma c’è bisogno che il presidente del consiglio definisca la lista delle priorità in rapporto ai soldi a disposizione e c’è bisogno che dia subito un segnale di novità con il passato, chiamando a discutere le organizzazioni sindacali e sociali. Non si può procedere ministero per ministero, serve regia, soprattutto considerando che tra i primi appuntamenti verranno Dpef (documento di programmazione economica e finanziaria) e Finanziaria».
I soldi. Ancora non si sa quanti ne restino in cassa...
«Infatti la priorità delle priorità è proprio la ricognizione sui conti pubblici. Poi si andrà a trattare a Bruxelles. Infine il governo dovrà decidere a proposito di manovra bis, che francamente mi auguro non ci sia. Resto molto perplesso di fronte a una idea del genere».
Niente manovra bis, allora?
«Certo, meglio pensare subito alla nuova finanziaria. Dipende dalla qualità dei conti pubblici...».
Ma se la qualità dei conti è pessima, non si rischia la politica dei due tempi? Prima l’aggiustamento, poi lo sviluppo...
«C’è il rischio, ma dobbiamo evitarlo. Lo si diceva all’inizio. Siamo per una manovra che mantenga sullo stesso asse risanamento, sviluppo, difesa dei redditi. Preciso: non solo risanamento e sviluppo, ma anche politica redistributiva dei redditi. Per questo è indispensabile un patto fiscale e che da questo si deve ripartire. Come in fondo sta avvenendo in Germania...».
Nel programma del governo si legge la riduzione del cuneo fiscale, misura nella direzione da voi indicata...
«La riduzione è uno strumento che si può usare in modi diversi con effetti diversi: si può abbassare per tutti il costo del lavoro, si può favorire l’impresa più esposta alla concorrenza internazionale, si può dar stabilità ai posti di lavoro meno stabili e difendere i redditi più bassi. O preferiamo regalare qualcosa a imprese che godono già di condizione di mercato protette? Vedi banche, Eni, Enel, Telekom... Insomma la misura si presta a una applicazione selettiva e noi vorremmo che desse una mano alle imprese più esposte alla concorrenza, alle imprese che innovano, a quelle che creano posti di lavoro stabili...».
Tra i primi traguardi indicati anche dal ministro Damiano sta il cosiddetto “superamento” della legge 30. Ci sono novità?
«La lotta alla precarietà si fa riscrivendo le politiche del lavoro, riscrivendo anche la legge Biagi. Invece vorrei segnalare al governo un altro appuntamento urgente: quello con la riforma Moratti. A settembre dovrebbe partire la sperimentazione, bocciata da tutti gli utenti della scuola. Settembre non è lontano, la sperimentazione va immediatamente sospesa».
A proposito di sospensioni, sono tante le voci che chiedono la sospensione del progetto per il ponte sullo Stretto...
«Non entro nella vertenza ponte sì, ponte no. Credo che per il Sud si debba tenere presente in primo luogo la questione occupazione. Investimenti e progetti devono far crescere il lavoro, in situazioni drammatiche, quella calabrese peggio di altre. Si dovrebbe pensare con Bruxelles a una strada di fiscalità favorevole al Mezzogiorno. Di grande opere si decide in questo quadro: quindi subito le ferrovie in Sicilia e in Calabria, subito la Salerno-Reggio...».
Guardi però Epifani che a furia di parlare di Mezzogiorno non si finisca a dimenticare il Nord, dando ragione alla Lega.
«Infatti rispondiamo che vanno completati i lavori per la viabilità nel nordest, che si concluda con la “variante di valico”, che si faccia la Pedemontana in Lombardia, che si vada a una soluzione per la tav, coinvolgendo davvero le popolazioni. Sono necessarie tante cose, il governo di centrodestra aveva fatto tante promesse, poi aveva tagliato i finanziamenti, persino i fondi all’Anas. La verità è che il sistema dei trasporti è allo sfascio. Le ferrovie sono approdate a uno stato comatoso. La storia di Alitalia non è stata diversa».
Ma Alitalia è stata salvata...
«I lavoratori hanno salvato Alitalia, hanno impedito che la compagnia di bandiera fallisse. Adesso c’è un piano industriale e il piano va sostenuto, anche se le cose vanno peggio di quanto sostiene l’amministratore delegato, Giancarlo Cimoli. Aggiungo ai trasporti, l’altra sofferenza italiana: l’energia. Anche in questo caso bisogna fare: carbone pulito, rigassificatori, energie alternative. Il nucleare non mi pare sia all’ordine del giorno».
Giorni fa abbiamo vissuto l’ennesimo stress da sciopero del trasporto pubblico urbano.
«La conflittualità, da cui nascono i disagi dei cittadini, è figlia del caos in cui versa il settore, che usa il conflitto per drenare risorse. Le aziende sono tutte in difficoltà. La loro rigidità nella trattativa si spiega solo tenendo conto di quel disegno».
Finora abbiamo parlato d’economia. E di welfare ?
«Parliamo di condizioni materiale delle persone: non vi è stato controllo sui prezzi, la capacità di spesa delle famiglie è stata compressa, pensionati e anziani si sono sentiti abbandonati, vi sono segnali di una inflazione che non cala. Bisognerebbe creare un fondo per la non autosufficienza e vedere come sostenere i redditi da pensione, modificando il paniere, agendo sulle tasse...».
Uno dei vanti del centro destra è stata la riforma delle pensioni. Un’altra riforma riformabile?
«C’è una questione aperta in materia previdenziale, quella della partenza delle nuove condizioni della previdenza integrativa, tenendo conto che una parte del pubblico impiego ne è escluso. Poi vi sarebbe la necessità di inventare il modo di dare ai lavoratori discontinui e precari una prospettiva di previdenza accettabile. Poi c’è il gradone: non ha nessun senso mantenerlo, dividendo i lavoratori sulla base dell’ora di nascita. Il gradone accelera solo la corsa alla pensione di chi è nelle condizioni di approfittarne. Piuttosto bisogna pensare a forme elastiche e volontarie di pensionamento, ad esempio una forma “metà pensione- metà lavoro”».
Il bonus di Maroni ?
«Operazione generosa, sbagliata, a vantaggio dei redditi alti».
Lei ha indicato cose che non vanno. Ma, ad esempio, la Fiat continua a indicare dati positivi.
«È la dimostrazione che quando si punta sulla qualità dei prodotti, quando si investe, possiamo farcela. I primi passi su questa strada la Fiat li ha compiuti anche grazie all’aiuto del sindacato. Dobbiamo dirlo. Non solo la Fiat, però. Molte imprese si sono rimesse in moto. Sono riprese le esportazioni pure verso paesi forti come la Germania e la Francia».
Come continuare?
«Riprendendo il metodo del dialogo e della concertazione, convinti, i sindacati, di potere mantenere un profilo unitario nel confronto con il governo».
di Oreste Pivetta