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Unità: «Io, giovane cervello in fuga Tornare? Troppe baronie e poco confronto con l’estero»

«Group leader» di biologia molecolare a Heidelberg

09/11/2006
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l'Unità

ANDREA LADURNER

inviato a Heidelberg (Ger)

Il chimico Andrea Ladurner è atesino di Merano, laureato a York, nel nord dell'Inghilterra, ha poi fatto il dottorato in America, è ricercatore a Heidelberg, cittadina poco a nord della Foresta Nera tedesca. È un «cervello in fuga», un chimico «dentro» che si divora le giornate a spaccare in quattro le molecole ma che pratica anche l'alchimia nella vita: «Mia moglie Nicole è americana, fa la maestra ed è figlia di un inglese e di una svedese. Io sono italianissimo, come mia madre». È un consiglio giusto la benzina che avvia la carriera di questo 35enne che è già «group leader» del Laboratorio europeo di biologia molecolare ad Heidelberg: «Al Liceo mi piaceva la chimica, lì avevo i voti migliori. Volevo continuare questi studi, la professoressa mi disse: se vuoi farlo vai all'estero, in Inghilterra, là potrai leggere gli aggiornamenti, i testi appena editi, confrontare le novità: tutte cose che circolano in inglese». E Andrea Ladurner è partito, a 19 anni, per York.
Lei ha ormai raggiunto un certo livello, potrebbe trovare ottimi posti anche in Italia...
«Ma manca quell'ambiente internazionale così creativo e stimolante che si è creato in molti centri esteri. In Italia per "vivere" all'università e magari fare carriera bisogna rimanere nella scia dei docenti "protettori", che accompagnano lo studente in una gavetta infinita, che spesso termina a 45 anni. Nelle università straniere se sei bravo e vuoi fare ricerca ti obbligano - ripeto: obbligano - ad andare via, a fare esperienze in giro, a confrontarti con tutto il mondo».
Quanto guadagna?
«Quasi 4 mila euro al mese. Sono molti, i lavoratori stranieri prendono qualche soldo in più, un bonus del 10% perché hanno spese maggiori».
Quanto guadagnano i suoi colleghi in Italia?
«Mille euro».
È giusto?
«No, ma non è questo il problema. A metà del mio stipendio tornerei subito nel mio Paese».
Cosa la trattiene?
«Qua posso fare ricerca. In Italia mancano prospettive. L'accesso al dottorato è "chiuso" da baronie. Qui ci sono altri 25 laureati italiani che mi confermano la perseveranza di questi vizi storici dei nostri atenei. Ma anche se si riesce a studiare, cosa si fa dopo il dottorato?».
Se tornasse e avesse mano libera d'intervenire nelle università italiane, che farebbe?
«Cambierei i dipartimenti, così ingessati. Li trasformerei in un ambiente aperto e dinamico. Concentrerei le forze sulla ricerca, alzerei le paghe: lo studioso non deve disperdersi in altre cose per mantenersi gli studi».m.buc.