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Unità: «Io, ricercatore bolognese discriminato in Germania»

Andrea Raccanelli, 38enne ricercatore bolognese che ha intrapreso - appoggiato dalla Flc-Cgil nazionale e regionale e dal patronato Inca - una battaglia contro le discriminazioni degli studenti stranieri nel mondo della ricerca scientifica tedesca

30/07/2009
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l'Unità

Non è tutto oro quel che luccica sulle sponde del Reno. Lo dimostra la vicenda di Andrea Raccanelli, 38enne ricercatore bolognese che ha intrapreso - appoggiato dalla Flc-Cgil nazionale e regionale e dal patronato Inca - una battaglia contro le discriminazioni degli studenti stranieri nel mondo della ricerca scientifica tedesca.

UNA STORIA PARADOSSALE Il tutto inizia nel 2001, quando il dottorando Raccanelli, da circa un anno arruolato dall’istituto Max-Planck di Bonn, in Germania, scopre di non aver diritto all’assistenza sanitaria per la figlia, al contrario dei suoi colleghi tedeschi. La discriminazione operata dal principale ente di ricerca della Germania è infatti sancita addirittura nero su bianco nello statuto: solo gli studenti tedeschi sono contrattualizzati con un regolare rapporto di lavoro, dotato di tutte le tutele previste, dall’assistenza sanitaria agli aspetti previdenziali. I dottorandi stranieri possono accedere solo a delle borse di studio. Pochissime le eccezioni: le statistiche ricavate da Raccanelli nel 2003 dicono che il 98% dei dottorandi non tedeschi (circa 2.000), erano inquadrati con borse di studio che, all’istituto, costano circa un terzo dei contratti subordinati (12.000 euro all’anno invece che 36.000). Al contrario, l’87% dei colleghi tedeschi godeva di condizioni migliori. Al Max-Planck «mi insultano e mi fanno passare per visionario», spiega Raccanelli, durante l’incontro con la stampa nella sede della Cgil dell’Emilia-Romagna, ma lui, «falliti i tentativi diplomatici» e concluso il rapporto con l’istituto, si appella nel 2004 alla Commissione Europea, vista la «palese violazione dei diritti di eguaglianza e di libera circolazione nella comunità». Un risultato, «almeno formale, lo ottengo: la discriminazione viene rilevata e la Commissione si rimette alla Corte di giustizia. La Max-Planck, però, cambia le regole e il caso viene considerato chiuso», racconta Raccanelli. Ma in sostanza la situazione migliora poco: in alcuni casi, aggiungono dalla Cgil, per parificare tutti, «sono state tolte le tutele anche ai dottorandi tedeschi». La palla passa allora ai tribunali nazionali, per gli eventuali risarcimenti. NIENTE LIETO FINE L’ultima sentenza del tribunale di Colonia è stata emanata lo scorso 23 luglio e, spiega il coordinatore dell’Inca locale, Giuseppe Pappagallo, «il giudice non è entrato nel merito, facendone una questione di tipologia contrattuale». Insomma, «in prima istanza ho perso», ammette Raccanelli. Che non si dà per vinto: «Non è una questione di soldi, ma di principio - dice -. Il mio obiettivo è che la Max-Planck riconosca l’errore, cosa che si ostina a negare. Spero di fare da apripista ai tanti colleghi discriminati». Mimmo Pantaleo, segretario nazionale della Flc-Cgil, tiene a sottolineare come il Max-Planck, che conta 10mila dottorandi e 12mila altri dipendenti, «sia finanziata per la quasi totalità da fondi comunitari e nazionali. Una delle condizioni per usufruirne è il rispetto delle normative europee, e dunque regole che prevedano la chiara discriminazione degli stranieri non sono ammesse». In un contesto di continue «fughe di cervelli» fuori dall’Italia, è una storia che fa riflettere. BOLOGNA abonzi@unita.it