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Unità: L'Europa? Il vagone piombato della ricerca

La «strategia di Lisbona» è fallita. Ora bisogna guardare al futuro, ma non basterà il prossimo programma quadro, FP8, per dare all’Europa della ricerca quella svolta qualitativa e quantitativa che non c’è stata.

22/03/2010
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l'Unità

Pietro Greco
Il 2010 è un anno cruciale per la ricerca scientifica in Europa. E, quindi, per l’Europa stessa. È l’anno del consuntivo: in cui constatiamo l’avvenuto fallimento di un programma, anzi di una strategia: la «strategia di Lisbona». Ma è anche l’anno che ci obbliga a guardare al futuro: sia perché ha assunto la sue piene funzioni la nuova Commissione Europea, sia perché si inizia a progettare FP8, l’ottavo programma quadro. L’analisi del decennio passato è ormai nota. Era iniziato, il decennio, con l’impegno solenne assunto a Lisbona da tutti i paesi membri di voler fare dell’Unione, entro il 2010 appunto, l’area leader al mondo nell’economia della conoscenza. A Barcellona, due anni dopo, si indicò anche un obiettivo quantitativo: aumentare gli investimenti in ricerca e sviluppo dal 2 al 3%. Nessuno dei due obiettivi è stato raggiunto. Le economie fondate sulla conoscenza si sviluppano altrove: soprattutto in Asia e in Nord America. Quanto agli investimenti in ricerca: nel 2009 l’Unione ha investito l’1,7% in ricerca, arretrando invece che migliorando rispetto all’anno 2000; Asia-8 (le otto economie più sviluppate dell’Asia) ha superato in investimenti assoluti l’Europa già dal 2003; da un paio di anni, per la prima volta nell’ultimo mezzo millennio, l’intensità degli investimenti in ricerca europei (1,7%) sono sotto la media mondiale (2,0%). Altro che area leader, l’Europa rischia di diventare il vagone piombato del mondo nell’economia della conoscenza. E, dunque, nell’economia tout court. Ma ora occorre guardare la futuro. Il nuovo Commissario per la ricerca, l’irlandese Máire Geoghegan-Quinn, ha dichiarato di voler utilizzare il prossimo programma quadro, FP8, per dare all’Europa della ricerca quella svolta qualitativa e quantitativa che nell’ultimo decennio non c’è stata. Due settimane fa, proprio a Lisbona, ha individuato le cinque aree chiave in cui il programma dovrà concentrarsi: energia, cambiamenti climatici, sicurezza alimentare, salute e invecchiamento.
IL FUTURO Se ne dovrà discutere. Perché l’impressione è che tutto questo non basti. Occorre una svolta molto più significativa. Su cui, pare, si sta discutendo. Secondo la rivista scientifica Nature, infatti, circola tra i leader dei 27 paesi membri la bozza di un programma di lungo termine (il 2030) con obiettivi quantitativi molto impegnativi. Creare finalmente l’Area Europea della Ricerca, con fondi che dovranno passare dal 4 al 12% del budget dell’Unione e portare l’intensità di investimenti dall’attuale 1,7% al 5,0% del Prodotto interno lordo. Si tratta di obiettivi importanti. Ma affinché non restino un miraggio, occorrono altre tre condizioni. Far sì che nell’area europea della ricerca gli 1,3 milioni di ricercatori (in media, validissimi) dell’Unione possano muoversi liberamente (e far sì da attrarre cervelli da altre aree del mondo offrendo strutture e qualità). Fare dell’obiettivo di Barcellona (3,0% del Pil) o magari del nuovo vincolo (5,0%) un vincolo economico stringente per tutti i paesi, come i parametri di Maastricht: con tanto di sanzioni per chi non lo raggiunge. Diminuire la burocrazia e le tentazioni dirigistiche di Bruxelles e ampliare la felicissima esperienza dell’European Research Council: che premia la qualità della ricerca, senza ulteriori vincoli