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Unità: L’Istat «cede» a Pagnoncelli le ricerche sull'occupazione

L’istituto statistico attaccato da Tremonti, Sacconi e Scajola esternalizza la «mission». Ieri a Roma lo sciopero proclamato dalla Cgil. Manifestano i 317 lavoratori precari Va all’Ipsos la raccolta dei dati sull’occupazione e disoccupazione che serve anche a stabilire il Pil del Paese. I lavoratori:«Il motivo è politico, altri non ce ne sono. E ora passiamo di mano».

26/09/2009
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l'Unità

Sono arrivati a decine daCuneo, Varese, Mantova, dalla Toscana, dal Molise, hanno occupato il marciapiede e piazzato i loro striscioni sul palazzone di via Cesare Balbo a Roma, sede centrale dell’Istat. È l’istituto per cui in 317 hanno lavorato da precari per 7 anni e che dal 15 ottobre li «cede» all’Ipsos di Nando Pagnoncelli con tutta la mission: la rilevazione delle forze lavoro, che in sigla diventa Fol. Detto in altre parole, l’Istat ha esternalizzato o, se si preferisce, ha affidato a privati la rilevazione dei dati che ci raccontano quanti occupati e disoccupati ci sono nel paese. A passare dimanoè la raccolta della materia prima, i dati, mentre la loro elaborazione e analisi resta all’Istat che, per questo, smentisce si tratti di una esternalizzazione come invece accusano i lavoratori e la Cgil. «L’indagine resta a noi», taglia corto il direttore generale Giovanni Fontanarosa. Si chiami come si vuole, ma una parte del lavoro prima fatta all’interno dell’istituto, ora viene fatta fuori. E non si tratta di un’indagine marginale. Si tratta di materiale “sensibile”, «di un parametro importante in sé e con un suo peso specifico nel calcolo del Pil», spiegano in coro i lavoratori. Dal numerod ei disoccupati conosceremo nei prossimi mesi la vera entità di una crisi economica che gli ottimisti di governo vorrebbero morta e sepolta. Non a caso chi ne parla viene inserito nella lista dei catastrofisti e denigrato. «Basti pensare che cosa hanno saputo dire Tremonti, Scajola e Sacconi», accenna Fabrizio Stocchi, delegato sindacale. L’ATTACCO Nel giugno scorso l’Istat è stato attaccato a testa bassa da Giulio Tremonti a cui erano sgraditi i dati che dopo 14 anni davano l’occupazione in calo e la disoccupazione in crescita. «Sapete come fanno le statistiche? Hanno un campione di mille persone. Fanno le telefonate e chiedono: sei disoccupato? La risposta: vai a quel paese. Scrivono: molto disoccupato». Così si esprimeva il ministro dell’Economia, minandola credibilità di quei dati e di chi li rilevava. Un colpo basso che nel giro di poche settimane trovò emuli nei ministri Scajola che se la prese con i tempi della diffusione dei dati, e Sacconi che ha proposto di monitorare l’andamento dell’economia utilizzando informazioni «alternative » a quelle troppo pessimiste di via Balbo. Si capisce perché i lavoratori che ieri hanno aderito allo sciopero indetto dalla Flc-Cgil e presidiato la sede dell’Istat, hanno scritto su uno striscione una frase un po’ criptica: «Se la rete non esiste, la crisi non sussiste ». Sarà per questo che il governo, nella persona del ministro competen te Renato Brunetta, non ha battuto ciglio davanti alla decisione del Consiglio dell’Istat di precedere alla gara d’appalto indetta nell’ottobre del 2008. O meglio, Brunetta ha dato all’Istat sei mesi di tempo per risolvere la questione dei precari che si trascinava dal 2005, da quando cioè finita la sperimentazione di 3 anni, i 317 erano rimasti senza copertura normativa. «Siamo illegali, l’Istat non ci può tenere come co.co.co», chiarisce Federica Sorba. Che continua: «Prima il ministro Brunetta si era opposto alla nostra assunzione, poi il suo capo dipartimento ha incalzato l’Istat a trovare una soluzione. Ma sono rimaste parole». In pratica l’esecutivo ha lasciato fare. «Del resto questo governo non nasconde di voler passare ai privati quanti più servizi possibile. È la sua filosofia», afferma Donatella Andreani, arrivata da Varese. Dall’Istat negano che ci siano state pressioni politiche e difendono la scelta fatta «in base a principi di autonomia e indipendenza scientifica» e secondo «vincoli normativi oltre che di bilancio». Inoltre è «prassi consolidata » far svolgere pezzi di lavoro all’esterno. Come dire, che vuoi che sia! ma la statistica non è un bene comune? Così pare. Intanto però la “rete” per la rilevazione delle forze lavoro passa a Pagnoncelli che ha vinto l’appalto offrendo 15,3 milioni più Iva per due anni (base d’asta 16,5 milioni). «L’Istat fornirà all’Ipsos i computer in comodato d’uso, il software elaborato dall’Istituto, il campione delle famiglie, l’agibilità degli uffici regionali e si stanno liberando due stanze anche qui a Roma. In più gli diamo la nostra conoscenza e la nostra formazione», raccontano i rilevatori. Che da precari pubblici diventeranno precari privati, con un contratto di un anno anche se l’appalto è di due. «In questa operazione non c’è risparmio di spesa - fa notare Stocchi - abbiamo calcolato che il passaggio all’Ipsos costa il30%in più». Giovanni Fontanarosa fornisce altre cifre: «I 317 co.co.co ci costavano 9 milioni l’anno più i costi indiretti». Ma i lavoratori insistono: «Non si risparmia e la qualità del nostro lavoro è riconosciuta anche in Europa. Perché allora? Resta un motivo, politico», afferma Aldo. È anche la posizione di Flc-Cgil: «Stiamo parlando dell’Istituto nazionale di statistica che attraverso le sue indagini determina le grandi scelte del paese e gli indirizzi in materia di politica economica e sociale - afferma il segretario Mimmo Pantaleo -. Per questo si deve garantire la sua indipendenza ».