Unità-L'Italia, un paese a metà
L'Italia, un paese a metà di Vittorio Emiliani L'Italia sta vivendo un doppio dramma, il primo ben più doloroso: il crollo della scuola nel cuore del Molise con bambini morti e altri ancora sep...
L'Italia, un paese a metà
di Vittorio Emiliani
L'Italia sta vivendo un doppio dramma, il primo ben più doloroso: il crollo della scuola nel cuore del Molise con bambini morti e altri ancora sepolti; la frana che, interrompendo per decine di chilometri l'Autosole fra Val di Chiana e Orte, ha spezzato in due il Paese. Fenomeni purtroppo connessi fra loro. Basta infatti scorrere la carta delle regioni italiane a rischio sismico per rendersi conto che l'intera penisola, soprattutto la sua dorsale appenninica, è costantemente minacciata (con la sola eccezione della Sardegna). Basta scorrere la carta dei movimenti franosi (migliaia) per rendersi conto che essi riguardano molto spesso le zone ad elevato rischio terremoti, lungo la stessa dorsale appenninica.
Quindi, è assolutamente indispensabile una politica costante, mirata, tenace di messa in sicurezza dei territori dove il colore rosso della sismicità si fa più acceso. Un anno fa, contribuendo al Libro Bianco del Comitato per la Bellezza e del Touring Club Italiano, 'Un Paese spaesato', l'allora direttore del Servizio Sismico Nazionale, il geologo Roberto De Marco, scriveva che, da quando, centoventi anni or sono, le aree a rischio hanno cominciato ad essere classificate e ad essere oggetto di interventi, purtroppo limitati, soltanto un 18 per cento delle abitazioni è stato protetto dai forti terremoti, una percentuale davvero troppo bassa rispetto al pericolo. 'Insomma', concludeva De Marco, 'vi è tantissimo da fare per rendere più sicuro quel 48 per cento di territorio che recenti stime hanno evidenziato essere a maggior rischio'.
Quale risposta ha dato il governo in carica? Intanto ha pensato bene di rimuovere il bravissimo, impegnato Roberto De Marco in base a questo 'spoil system' all'italiana che puzza tanto di epurazione politica. Poi si è prodigato ad illustrare un programma faraonico di cosiddette 'grandi opere' (per lo più a base di asfalto e cemento) destinate a bucare, traforare, scavare questa Italia già 'ballerina', fragile, consumata, franosa, facilmente alluvionata per l'abbandono dei terrazzamenti altocollinari. Inoltre ha strizzato più volte l'occhio ai protagonisti dell'abusivismo edilizio con la mezza promessa di un condono, mentre proprio l'ormai immenso stock di case tirate su illegalmente è quello a maggior rischio sismico perché costruito, ovviamente, senza misura preventiva di sorta.
Nell'ultimo secolo i terremoti di grande forza sono stati numerosi : Messina e Reggio Calabria (85.000 vittime nel 1908), Marsica e Avezzano (35.000 morti nel 1917), e poi, più recentemente, Belice, Friuli, Irpinia, Val Nerina, Assisi e area umbro-marchigiana (con poche vittime ma danni gravi al patrimonio storico-artistico). Soltanto per un caso fortuito questi forti terremoti non hanno colpito una sola grande città. Ad esempio, Napoli fu interessata soltanto marginalmente dal sisma irpino, ma potrebbe domani essere investita dal risveglio, assai temuto, del Vesuvio, tanto più che circa 700.000 persone, contro ogni normale buon senso, si sono abusivamente insediate alle falde del vulcano dormiente. Ma l'edilizia speculativa legalmente consentita non è meno minacciata di questa del tutto abusiva. La tragedia potrebbe essere colossale.
La scuola di San Giuliano di Puglia era in cemento armato. Quindi, si fa capire, presumibilmente sicura. Notava invece Roberto De Marco nel citato Libro Bianco: "Statistiche ormai consolidate a livello mondiale nella stima delle perdite ci dicono che forse il cemento armato collassa in un minor numero di casi rispetto alla muratura, ma quando avviene non lascia scampo". Se non è progettato con criteri antisismici e realizzato a regola d'arte, il cemento armato non protegge dai terremoti più forti e distruttivi. Regge l'armatura, lo scheletro del fabbricato e però il resto crolla, precipita al suo interno.
Veniamo alla chiusura, per ben 110 Km, dell'Autosole fra Val di Chiana e Orte: ormai basta una pioggia un po' più prolungata e più battente del solito e l'Italia montana e collinare, abbandonata a se stessa, smotta, frana, scivola a valle travolgendo tragicamente cose, case e persone.
Le vere, essenziali 'grandi opere' dovrebbero essere anzitutto queste: investimenti strategici nel risanamento dei nostri bacini idrografici, difesa del suolo, lotta alla erosione, al ritorno dei calanchi, al deserto che minaccia un terzo del Paese, cura degli alvei fluviali e dei terrazzamenti, e così via.
Quanti danni provocherà la chiusura dell'Autosole? Molto più pesanti, in cifre, degli investimenti che avrebbero potuto evitarla. Nell'ultimo ventennio l'Italia ha speso dai 60 mila miliardi in su di vecchie lire per tamponare, malamente spesso, i guasti provocati dalle alluvioni (e nel conto non ci sono le centinaia e centinaia di vittime). Bastava investirne in tempo una parte per scongiurare questi drammi, umani e sociali.
Il Wwf calcola che, nonostante una crescita ormai modesta della popolazione, si consumino in Italia almeno 100.000 ettari all'anno di buona terra agricola o a bosco per asfaltarli e cementificarli. In un decennio se ne va una regione grande come la Puglia. La tragedia di San Giuliano di Puglia, in Molise, ci ripete, con le grida disperate delle madri, che è più che mai il momento di prevenire i rischi, di mettere in sicurezza l'Italia più sismica e quella più fragile (la stessa, quasi sempre), di riqualificare il patrimonio edilizio esistente evitando ovunque sia possibile nuovo cemento e nuovo asfalto, nuovi trafori, nuovi scassi del territorio più bello e però più delicato e consumato che si conosca.
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