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Unità: L’Onda Normale. Uniti prof e studenti

Il tempio italiano degli studi universitari, la Normale di Pisa, si muove. Da giorni gli studenti sono parte attiva nel movimento. Sabato notte è comparso uno striscione. Docenti con gli studenti

27/10/2008
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l'Unità

Un drappo nero campeggia sulla facciata di palazzo della Carovana a Pisa. È la sede della Scuola Normale. Anche uno dei più prestigiosi atenei d’Italia è in lutto. È la ricerca che muore. È il futuro dell’Università che viene messo in discussione dalle scelte di questo governo. Monta la protesta contro la legge 133. «Un Paese vale quanto ciò che ricerca» si può leggere sui manifesti affissi dagli studenti e dai perfezionandi della Normale. E ancora «Siamo sull’orlo del baratro. Questa legge è un passo avanti». Uno striscione riporta le cifre della vergogna: i dati Ocse 2008 su quale quota del Pil i paesi destinano alla ricerca. Con il suo 0.9% l’Italia viene dopo Usa, Corea, Cile, Francia e la stessa media Ocse (1,5%). Sono precisi i «normalisti». «Tagliate, tagliate che la ricerca taglia la corda» scrivono su di uno striscione gli studenti della statale. Loro da venerdì hanno occupato il «Polo Carmignani». Sono le facoltà di Giurisprudenza, quella di Galileo, e di Scienze politiche. Occupazione simbolica. Ma la protesta cresce, compatta. Dai licei alle facoltà. Giovedì scorso in piazza a Pisa c’erano oltre 20mila studenti. E non è certo un caso se la manifestazione si è conclusa proprio davanti all’ingresso della Normale a piazza dei Cavalieri.

Qualcosa si è mosso anche all’interno di quell’istituzione «tempio dell’autonomia e dell’indipendenza del pensiero». Gli studenti da alcune settimane sono in assemblea permanente. Erano in seimila all’assemblea di ateneo, quella con il rettore. In tre mila hanno partecipato a quella studentesca. La protesta cammina su percorsi istituzionali. Ma cammina. I «normalisti» hanno stretto un rapporto forte con i docenti e con le altre componenti dell’università. Hanno presentato le loro richieste al Collegio accademico: sospensione della didattica, lezioni pubbliche in piazza anche a Roma davanti Palazzo Chigi o Montecitorio. Chiedono di far conoscere pubblicamene le ragioni del disagio e della protesta di studenti, ricercatori e docenti. Intanto si lavora. Si approfondiscono i temi, si preparano proposte. «Noi allievi - spiega Giorgio Bottini, studente di filosofia - abbiamo organizzato dei gruppi di studio per approfondire numeri, informazioni, statistiche in merito alla legge 133 e alla situazione dell'università italiana. Ci proponiamo di dare un contributo costruttivo alla mobilitazione studentesca». È lo stile dei «normalisti». Non vogliono prestare alibi a possibili strumentalizzazioni. Si continua a studiare, ma il futuro è nero. «Sono stanco di presentare note per i dottorandi che cercano all’estero il loro futuro» afferma preoccupato il professore Adriano Prosperi. Le misure di questo governo, annunciate con la finanziaria di Tremonti, ora iniziano a colpire e duramente tutta la scuola. È una situazione che si fa sempre intollerabile anche per i docenti. «Il mio vissuto quotidiano è di scrivere lettere per giovani che si presentano a concorsi all’estero. È diventata un’attività sempre più impegnativa» osserva con amarezza il professore. «Tutti cercano prospettive fuori, qui le prospettive si fanno sempre inesistenti. E questo per chi ha finito gli studi. Per i giovani universitari è sceso verso il basso la tenuta del mondo universitario» commenta Prosperi. Lui guarda con attenzione a questo movimento, alla sua autonomia. Non esclude di tenerla la lezione in piazza a Roma. «Se me lo chiedono...».

ROBERTO MONTEFORTE

ROMA

rmonteforte@unita.it