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Unità-L'ultimo mostro: la devolution dei professori

L'ultimo mostro: la devolution dei professori MARINA BOSCAINO Come tutti gli anni la sorpresa non si è fatta attendere. L'estate è la stagione che la lady di ferro dell'Istruzione preferis...

24/07/2004
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l'Unità

L'ultimo mostro: la devolution dei professori

MARINA BOSCAINO

Come tutti gli anni la sorpresa non si è fatta attendere. L'estate è la stagione che la lady di ferro dell'Istruzione preferisce per sferrare colpi micidiali sugli insegnanti italiani. Il caos di un anno di malagestione - di anni di malagestione -, di decisioni e contrordini sulla sorte dei precari, e di elencazioni di dati che ci informano di quanto la scuola italiana sperperi - avendo un rapporto docenti-studenti superiore rispetto ai paesi europei - inducono il ministro a confezione l'inesorabile pacco sorpresa per gli insegnanti italiani: buone vacanze! La sua fissazione, si sa, è stata fino ad ora il taglio; e lei è una donna di parola, non si può negare: trentaduemila i posti in meno (docenti e non) annunciati dalla Finanziaria 2002 che sarebbero dovuti scomparire in tre anni. Detto fatto: a colpi di accorpamenti di cattedre, di insegnanti-tutor alle elementari, di tagli sul sostegno, di 18 ore obbligatorie, gli insegnanti che vanno in pensione e il cui posto non viene reintegrato. È un lavoro paziente, ma che dà i suoi frutti. Nel frattempo è di nuovo estate. Tra meno di un mese e mezzo riaprono le scuole e regna l'incertezza più completa. Lo slittamento della pubblicazione delle graduatorie al 20 agosto condanna chi non è di ruolo al consuento, ulteriore mese di incertezza. Il decreto legge approvato in aprile convertito in legge in giugno sui criteri del rinnovo anno scolastico deve essere modificato in merito al doppio punteggio per il servizio nelle scuole di montagna e alla possibilità di sommare i punti maturati insegnando discipline diverse (e quindi facendo valere graduatorie e appartenenze a più classi di concorso). Insomma, i soliti errori, la solita approssimazione, il caos di sempre.
Qualcosa di nuovo però c'è. E l'ormai naturale diffidenza nei confronti delle novità firmate Moratti ancora una volta si dimostra fondata. È quando ci sono provvedimenti che affondano più profondamente di altri la propria ragione di essere nella sua ideologia che siamo più preoccupati. Perché il sistema ideologico Moratti fa tremare. Qualcosa di ben più pericoloso dei gravi ritardi che umiliano i precari e dei gravissimi tagli che comunque ci parlano dell'idea di una scuola in cui la qualità dell'insegnamento è paradossalmente l'ultimo dei criteri considerati. Ora l'attenzione del ministro è concentrata sulla riforma del reclutamento del personale docente: soppressione delle graduatorie (quelle esistenti andranno ad esaurimento) e creazione di un albo regionale a cui le singole scuole attingeranno per chiamata diretta. La Moratti, l'ha dimostrato varie volte, ha un vero e proprio istinto da pioniera. Il suo zelo pragmatista le impone di anticipare provvedimenti ancora non approvati; due anni fa inventò - sempre d'estate - una sperimentazione del suo progetto di riforma i cui risultati non mai stati pubblicati. Ma che, intanto, ebbe l'indiscutibile merito di "muovere" qualcosa, mentre l'approvazione della delega languiva per l'immensa opposizione (anche interna). Oggi la signora Moratti propone candidamente alle parti sociali un decreto che anticipa la scuola della devolution, forse per rassicurare, almeno per ciò che riguarda l'istruzione, i colleghi leghisti che scalpitano. Che scuola è quella che prevede la chiamata diretta, individuando in sostanza 21 diversi sistemi di reclutamento? È una scuola che - prima di tutto - snatura il senso dell'aggettivo "pubblico". Lo distrugge, lo devolve, lo abroga nella sua sostanza come un inutile orpello, come uno scomodo vincolo. È una scuola che individua criteri per la soluzione dei suoi insegnanti molto lontani dal concetto di esigibilità dei diritti per tutti: perché i diritti degli insegnanti non saranno esigibili da tutti gli insegnanti. Né quelli degli studenti. Perché è una scuola che antepone l'appartenenza - ad una comunità, ad un sistema culturale, ad una confessione religiosa - al merito, ai titoli, alle capacità. È una scuola in cui le conoscenze non s'intendono nel senso di ciò che conosci, ma di chi conosci. È una scuola che dice come insegnare e che cosa insegnare se si vuole lavorare. E sottrae allo Stato il ruolo di garante che le ha permesso - pure nelle carenze e nelle imperfezioni - di realizzare un progetto di crescita culturale e civile per tutti i cittadini di questa nazione. È una scuola non di tutti e non per tutti, perché seleziona gli educatori in base a criteri soggettivi, non universali. E quali altri poi? La simpatia personale? I trascorsi privati? Il colore degli occhi? O della pelle? Che limita, circoscrive la libertà di insegnamento e, di conseguenza, di apprendimento degli allievi. È una scuola che non forma, che indica precisi paletti entro cui esercitare una parvenza di libertà. Come "l'antropologia cristiana", alla quale si ispira. Come la divaricazione tra istruzione e formazione professionale. Come la subdola dizione diritto-dovere, che di fatto abbassa l'obbligo scolastico. Come l'anticipo, solo per alcuni. Come l'immissione e il ruolo degli insegnanti di religione, dipendenti pubblici scelti dalla curia. Violazioni di democrazia che ci stanno abituando - noi italiani - ad ingoiare, chi con rabbia, chi con rassegnazione, chi con indifferenza, ma che stanno inesorabilmente distruggendo la scuola pubblica nel nostro paese.