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Unità: La Bambina di Chiaiano

Luigi Cancrini

27/05/2008
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l'Unità

Violenze

«“Stavamo sul muretto io e una mia amica a giocare col telefonino, all’improvviso ci hanno menato coi mazzarelli e gli scudi”, racconta, apparentemente serena, la ragazzina bionda, occhi azzurri che frequenta la prima media e che da grande vorrebbe entrare nella Marina militare». Chi scrive è Checchino Antonini, sulla prima pagina domenicale di Liberazione. Nel giorno successivo, silenzio. Nessuna smentita da parte della Questura, nessun altro giornale o telegiornale parla di un episodio documentato, fra l’altro, da una fotografia agghiacciante.
U
na ragazzina stesa per terra, il viso sul braccio, i capelli scomposti, un gruppo di poliziotti in tenuta antisommossa chini su di lei con i manganelli stretti nelle mani. Mentre è solo l’Unità ieri mattina a riferire, a proposito degli stessi scontri di Chiaiano, l’accorato appello a tenersi lontani dalle discariche di Maurizio Pirozzi, 38 anni, sposato e padre di un bambino di due anni che colpito dai poliziotti, è caduto da un muro rompendosi una gamba. «Siamo stati spinti dagli agenti armati di manganelli durante la carica, racconta, e siamo precipitati tutti e due da un muro di circa 10 metri di altezza. Questo è quello che la gente deve sapere. Io voglio andare fino in fondo, denuncerò la polizia, ho già parlato con un avvocato. Chiedo a chi ha visto di farsi avanti per aiutarmi a fare luce sulla verità». Anche di questo episodio sappiamo solo oggi, del resto, perché i telegiornali di ieri hanno dato solo le immagini di Maroni e di La Russa furibondi contro chi si oppone a quella che chiamano l’azione dello Stato. Che sta accadendo a Napoli? Che sta accadendo in questo nostro Paese?
Gli episodi ricordano quelli accaduti a Genova nei giorni del G8. Il governo di destra guidato da Berlusconi si era appena insediato, Fini e Castelli si erano recati sul luogo per sostenere, fomentandole, le reazioni scomposte di una polizia troppo “professionale”. La differenza fra allora e adesso, tuttavia, sta nel modo in cui degli scontri si parlava (allora) e quasi più non si parla (adesso). Nel silenzio dei media che contano. Un silenzio che merita di essere esaminato attentamente.
Dicendo, prima di tutto, che la ragazzina e il padre di famiglia di Chiaiano non sono esponenti della malavita organizzata. Fanno parte di una comunità in cui si è sparso l’allarme, basato su dati scientifici serii, per le malattie che possono essere determinate dalle discariche a cielo aperto nella popolazione che vive loro accanto. Rischi pesantemente aggravati (lo ha dimostrato la magistratura) dal modo in cui la camorra ha utilizzato finora (e potrebbe ancora utilizzare: è inevitabile che lo si pensi) questo tipo di discariche per lo smaltimento dei rifiuti tossici. Se le cose stanno così, la gente che scende in strada protestando in questi giorni, però, è gente che difende la vita propria e quella dei propri figli: gente che ha interessi largamente divergenti da quelli della delinquenza organizzata. Parlarne come se si trattasse di persone incivili che si lasciano manovrare dalla camorra e che non hanno rispetto per lo Stato, così come fanno oggi Maroni, La Russa e il Presidente del Consiglio, è fuorviante e vigliacco. Dimostra bene, in fondo, solo la debolezza culturale di quelli cui gli italiani hanno deciso di affidare il governo del loro paese.
Quella cui si dovrebbe pensare, invece, è la trappola mortale in cui si trova la popolazione di questa regione sfortunata. Sottoposti da sempre alla prepotenza di una criminalità senza scrupoli, gli abitanti di Chiaiano e di troppi altri paesi della Campania dovrebbero poter pensare allo Stato ed ai suoi rappresentanti come ad un insieme di persone e di istituzioni il cui compito fondamentale è la lotta alla delinquenza e la protezione di chi è costretto a subirne la violenza. Trovarsi di fronte, nel momento in cui scende in piazza per difendere i propri diritti, una polizia che usa con loro la durezza che non riesce ad usare nei confronti dei clan camorristi, potrebbe avvicinare, per molti di loro, il momento in cui si perde ogni fiducia nello Stato e nei suoi rappresentanti. Soprattutto se le violenze dei poliziotti sono coperte dal silenzio complice di una stampa che le copre. Soprattutto se li si lascia, come sta accadendo oggi, completamente soli.
Bisogna sempre guardare con tristezza e con sospetto alla polizia che usa la forza contro dei cittadini inermi. Soprattutto nel caso in cui, come sta accadendo di nuovo oggi, le parole dei ministri da cui la polizia alla fine dipende sono parole piene di boria e di disprezzo. Sicuri di aver ragione, pieni di sé e incapaci i intendere la complessità delle situazioni con cui in ben altro modo dovrebbero confrontrasi il ministro degli Interni e quello della Difesa hanno giocato pesantemente, nel corso delle loro immeritate interviste televisive, sull’equivoco che collega le proteste della gente perbene che esercita un suo sacrosanto diritto in un territorio difficile e tormentato alla presenza su quel territorio di una delinquenza organizzata che di questa gente è, da sempre, il nemico più terribile e più spietato. Come se non si rendessero conto, e questa è di tutte la cosa più grave, del modo in cui caricare i bambini e la gente che non può difendersi serve soprattutto a riconsegnare alla camorra, a questo stato nello Stato, a questo insieme di regole non scritte, intere comunità di persone la cui alleanza sarebbe fondamentale per combattere l'unica guerra in grado di salvare la democrazia in quella città, in quella Regione e in tutto il nostro paese. La guerra contro chi dello Stato ha saputo prendere il posto e l’autorità. Costruendo zone franche di capitalismo selvaggio. Sfruttando ed opprimendo migliaia e migliaia di nuovi schiavi. Assumendo di fatto poteri pieni in zone ampie di questa nostra povera Italia.