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Unità: La Cgil indaga il voto-choc di aprile

Indagine: il 70% dei lavoratori indica il sindacato incapace di risolvere problemi reali

23/05/2008
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l'Unità

di Bruno Ugolini / Roma

Quale lezione trarre per il sindacato dai recenti risultati elettorali? E’ stato questo il filo conduttore di una fitta discussione che ha impegnato ieri un buon pezzo della Cgil. Un’occasione per cercare di dare una scossa al dibattito interno, alla vigilia della Conferenza d’organizzazione nonché di consistenti mutamenti nei gruppi dirigenti. Il pretesto è venuto da una ricerca dedicata al voto, commissionata dalla Funzione Pubblica Cgil e dalla Fondazione “Luoghi Comuni” e condotta da Carlo Buttaroni, della GPF. Tra i dati emersi quelli relativi ai cosiddetti “flussi”, con un apporto al Partito democratico di 1 milione e 800 mila voti provenienti, secondo il ricercatore, dall’Arcobaleno. Un passaggio che fa assumere alla “base” del Pd oggi una caratteristica di spostamento a sinistra. Ma come hanno votato i lavoratori? Tra quelli privati il Pd ha affermato un suo primato pari al 27,9 (con un calo del 1,7, rispetto all’Ulivo del 2006), mentre il Pdl ha riscosso il 26,7 (percentuali riferite a tutti gli aventi diritti al voto). Tra i lavoratori pubblici il Pd è al 25,6 (25,2 nel 2006) mentre il Pdl è al 28,1 ed era al 20,8. E’ da sottolineare il risultato tra i lavoratori a progetto del Pd col 43,6 (più 10,2) e del Pdl col 5,5.
Interessanti le risposte atte a identificare orientamenti e tendenze. Così il 52,4 per cento sostiene che “Bisogna badare soprattutto ai propri interessi personali”. Per il 43,4 per cento è meglio pagare più tasse e avere più servizi e il 44,9 per cento afferma che le imprese vanno lasciate libere di assumere e di licenziare. Minoranze, ma minoranze consistenti. I quesiti investono altresì il sindacato. E qui son dolori perché il 72,9 per cento è d’accordo sul fatto che “Le grandi organizzazioni a carattere nazionale hanno dimostrato di non essere in grado di risolvere i problemi reali delle persone”. Mentre solo il 38,1 per cento considera il sindacato come un punto di riferimento per la tutela dei suoi interessi. Quel che appare evidente, nel proseguo dell’indagine, è una soddisfazione diffusa limitata al sindacato del luogo di lavoro. Sono dati e osservazioni che poi si ribaltano nel dibattito. Un confronto che sembra aver messo insieme in un’inedita alleanza, dirigenti provenenti da esperienze diverse che per comodità potremmo chiamare di sinistra e di destra. Senti nei loro interventi la voglia di trovare risposte nuove. Quelle elezioni del 13 e 14 aprile hanno visto tra l’altro un esercito d’iscritti al sindacato votare per forze politiche che in teoria non hanno nulla in comune con la cultura, i valori della Cgil. Almeno quella di Di Vittorio, Lama, Trentin. E fino a quando durerà questa specie di doppia tessera?
Rischiamo di diventare una “corporazione debole” osserva Emilio Viafora, segretario della Cgil nel Veneto. Mauro Guzzonato, segretario confederale, accenna ai mass media che giudicano ormai il sindacato “ininfluente”. La via d’uscita non può consistere nel chiudersi a riccio o nel “buttare la palla in tribuna”. La necessità è quella di un cambiamento radicale. Un’esigenza ribadita daaltri. Come Marigia Maulucci che polemizza con quelli che non si accorgono che il successo della Lega nel nord nasce sì dal cosiddetto radicamento nel territorio, ma anche dall’aver saputo dispiegare una propria ideologia, un proprio progetto. Una parola, ideologia, che non piace ad altri, come Walter Schiavella, segretario Cgil Lazio, che preferisce parlare di “capacità d’ascolto”, sia pure dentro un quadro ideale coerente. Valeria Fedeli, segretaria dei tessili, propone l’urgenza di una “teoria politica”. E ricorda il nuovo impianto promosso nel centrodestra da Giulio Tremonti. Mentre Donato Pivanti, segretario di Modena, fa riemergere il sindacato di Trentin. Quello del programma fondato sui diritti e solidarietà. E’ ancora valido o ha bisogno di una rivisitazione?