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Unità: La classe si specchia ne «La classe»: «Ma da noi i prof non sono tutti nemici»

L'insegnante e i suoi alunni al film di Cantet

11/10/2008
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l'Unità

di Luigi Galella

Nel giorno della grande mobilitazione degli studenti di tutta Italia, accompagno una mia classe alla visione di un film evento: «La classe» di Cantet, che ha vinto la Palma d’oro a Cannes, e di cui mi sono molto incuriosito, per quanto ho letto finora. Sono con i ragazzi della mia nuova terza, colorata e vivace, che ho amato fin dal primo giorno, per il modo partecipe e attento con cui mi osservano e ascoltano. Sono le due e un quarto del pomeriggio e siamo in ritardo. In una grande multisala di Fiumicino ci disponiamo all’ultima fila di posti, ma in realtà appena gli occhi si adattano al buio ci rendiamo conto di essere soli o quasi. Ci siamo noi, e altri due spettatori a una decina di metri. E questa è una sorpresa, visto che il film è campione d’incasso in Francia. Ma forse è solo colpa dell’ora inusuale.

L’idea è quella di specchiarci, di rivivere nello schermo ciò che appartiene alla nostra esperienza di tutti i giorni. Siamo ansiosi di vedere insegnanti di una classe di un paese straniero, anche per capire quanto siamo vicini o distanti dagli altri. Sentiamo spesso discettare delle scuole straniere in comparazioni che non ci fanno onore. Mi chiedo sempre per quale motivo ci si diverta con contributi non originali al tiro a segno sulla scuola italiana. Sui professori, sugli alunni. Spesso senza conoscerne la realtà, ripetendo quell’automatismo bieco e cieco della ragione e dell’intelligenza, che si piega volentieri al compiacimento del luogo comune.

Nella sua versione originale il film si intitola «Entre le murs», ed è tutto concentrato negli ambienti scolastici, come se il mondo di fuori fosse abolito. Piuttosto evidente la sua scelta claustrofobica, peraltro, a giudicare dalla scelta di inquadrature sempre molto strette, contribuendo a trasmettere, a dispetto di qualche rara battuta divertente, un sentimento impalpabile e angoscioso. Osservo i cellulari delle mie alunne illuminarsi, forse per controllare l’ora o per cercare una via di fuga in un sms. All’uscita mi chiedono: «Professore, ma a lei è piaciuto?». Non rispondo, forse anche perché ancora non so rispondere, o non voglio. Devo raccogliere le idee, il film sicuramente non è quello di cui si parla. È anzi un film difficile, senza plot, senza pathos, che si limita a registrare alcuni frammenti di vita scolastica, legati dall’unico pretesto del succedersi dei giorni.

«Mai trovata una classe così divisa», mi dice Veronica, di origine indiana, magrolina e non molto alta, con la frangetta nera e gli occhi scuri vivacissimi. È sempre vissuta a Fiumicino ma si sente romana al 100%. Mi sembra quasi turbata per la rappresentazione di una classe così in conflitto col suo insegnante. «Consideravano il professore come un nemico, forse nella realtà può accadere ma a me non è mai capitato». Giulia la interrompe e lo fa nella sua maniera espressiva e un po’ rancorosa: «A me sì. Quella professoressa che voi sapete ce l’ha proprio con me». «E chi sarebbe?», chiedo. «A professo’, nun jo posso di’, se no se capisce».

Anche Sara crede che la realtà de «La classe» non sia poi così lontana dalla loro. «Francesco, ad esempio, l’altro giorno si è arrabbiato con la professoressa di …. Non l’avevo mai visto così. Si discuteva sulle capacità dell’uomo e della donna e lei sosteneva che era scientificamente provato che la donna fosse più capace dell’uomo perché era in grado di fare più cose contemporaneamente. Lui allora si è sentito in dovere di difendere i maschi e si è tutto alterato e adesso non la può proprio vedere… ».

«Nel film il professore di Italiano a un certo punto, discutendo animatamente con la classe dà delle sgallettate a due alunne e loro fraintendono il significato della parola. Credono che significhi "puttane". Penso che questo sia uno dei significati più importanti del film, sembra che fra loro manchi proprio l’elemento basico della comunicazione. Voi che cosa ne pensate?», chiedo.

«Perché - risponde Veronica - noi non possiamo parlare ad una professoressa descrivendola con una parola come "sgallettata", mentre invece i professori possono farlo? Se noi usassimo questa parola verremmo subito puniti mentre loro no».

«Nella scuola indiana - interviene la sua compagna Happy , anche lei di origini indiane - bisogna portare rispetto ad alunni ed insegnanti. Nel film invece i ragazzi si esprimono molto, troppo liberamente verso gli insegnati. Li trattano come delle persone comuni, anzi, peggio». E Arianna C., che abita al Granicolo e ogni mattina si sveglia alle cinque per prendere il trenino per Fregene: «Secondo me viene rappresentata una realtà diversa dalla nostra per quanto riguarda l’integrazione. Nella periferia romana o in una piccola cittadina come Fregene o Maccarese si riesce più facilmente ad integrarsi mentre a Roma ci vogliono anche degli anni… I romani si sentono superiori, io stessa ho vissuto questa esperienza».

«Cosa chiedete alla scuola, oggi?». E Sara: «Più pratica e meno teoria». Mentre Giulia non risponde e insiste col suo tormentone: «La professoressa di inglese invece di insegnarmi mi mortifica durante le interrogazioni. Perché? Almeno ’nsegname, nun me serve a gnente che me mortifichi».

luigalel@tin.it