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Unità: la corsa a ostacoli dei giovani ricercatori

di Vincenzo Cerami, scrittore

30/12/2008
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l'Unità

Cominciamo subito a dire che per un “dottore” la ricerca, dal punto di vista scientifico già prima che da quello della carriera universitaria, è insieme un punto d’arrivo e un punto di partenza. È un punto d’arrivo perché finalmente egli comincia a mettere a frutto le sue conoscenze della materia, è un punto di partenza perché da quel momento in poi opera costruttivamente per far progredire il Sapere.

In Italia il ricercatore a cui viene concessa, tramite concorso, la cosiddetta borsa di studio post doc (post doctorate) ha a disposizione due anni per portare a casa i risultati della sua ricerca. Una volta ottenuta, essa non può essere rinnovata se non passando sotto le forche caudine di un secondo concorso.

Cosa succede normalmente, e naturalmente? Il ricercatore studia, raccoglie i dati, li ordina, approfondisce, si consulta con gli specialisti, sperimenta, viaggia. Poi comincia finalmente a redigere un testo che illustra il risultato della sua fatica. Solo che a questo punto sono scaduti i due anni ed egli è costretto ad interrompere il suo lavoro.

In Italia non ha nessuna garanzia di poterlo riprendere perché, come sappiamo, i concorsi sono come le corse dei cavalli, talvolta truccate, dove ci si vede facilmente sorpassare non sempre da chi merita di più.

Negli Stati Uniti, invece, se un ricercatore si sta muovendo nella giusta direzione, il rinnovo è automatico, quindi l’investimento su quella ricerca diventa produttivo. Il buon senso suggerirebbe, in scarsezza di mezzi, di attribuire meno post doc e di portare a quattro anni la loro durata.

È soprattutto l’uso improprio delle risorse a paralizzare la ricerca. Si deve investire sui contratti di una certa durata per valutare se un ricercatore è bravo o no. Nel concetto italiano di “borsa” è prevalente l’obiettivo dello studio, non è centrale che ci sia un risultato concreto, che apra una prospettiva.

I nostri cervelli se ne vanno all’estero perché hanno più aperture, più tempo e più mezzi per studiare. Da noi, sulla testa dei ricercatori pesa il tappo della burocrazia e del protettorato baronale, il sistema è ingessato.