Unità: «La cosa peggiore è la guerra dei nervi»
Confessioni di un ricercatore precario: vorrei restare in Italia ma è dura lavorare quando le regole cambiano ogni anno
LUCA LANDÒ
Ma quale intelligenza, ma quale passione. Il segreto dei ricercatori italiani sono i nervi. Per resistere allo stillicidio dei tagli e dei rinvii, delle promesse mancate e delle retromarce annunciate, l’unica è un sistema nervoso a prova di bomba. Come quello di Alessandro Paoloni, fisico delle particelle, 37 anni di cui gli ultimi dieci passati a saltare da un posto all’altro. Un precario, insomma. «Eppure mi considero fortunato: due anni fa ho vinto un concorso per un posto di cinque anni. Un lusso: ci sono colleghi che vengono rinnovati di mese in mese...».
Non era meglio andare all’estero?
«Se guardo il portafogli sì. Adesso prendo 1600 euro al mese che è un bello stipendio, ma fino a poco tempo fa uno come in America guadagnava tre o quattro volte quello che prendevo io allora».
E perché non sei partito?
«Perché mi sono fissato. Volevo e voglio restare in Italia. E poi qui c’è un’ottima scuola di fisica delle particelle. Lavoro al Gran Sasso, sotto, nel laboratorio dell’Istituto di Fisica Nucleare. Studiamo i neutrini che ci sparano dal Cern di Ginevra: loro li lanciano, noi li raccogliamo. E li osserviamo. Bello no? E poi perché ho fiducia nelle mie capacità e questo mi ha fatto credere che avrei trovato un posto fisso, prima o poi».
Cosa che non è avvenuta.
«Perché qui le regole cambiano di anno in anno. Quando mi sono laureato, nel ‘96, i più bravi trovavano una sistemazione abbastanza in fretta. Ho fatto tre anni di dottorato e hanno bloccato il turn-over: non prendevano più nessuno. E adesso sono qui che aspetto. Vorrei prendere casa ma non so dove finirò, in quale città. O in quale Paese. Già, ho ripreso a guardare all’estero».
Ma non volevi restare?
«C’è un limite a tutto».