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Unità: La lezione dei giovani partigiani ai liceali di oggi

Cristina Quintavalla docente di filosofia e storia Liceo classico Romagnosi di Parma

26/04/2007
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l'Unità

Cristina Quintavalla *

Morire a 17 anni, con la gola squarciata dalla raffica di una mitragliatrice, facendo appena in tempo a consegnare il fucile ai compagni e ad incitarli alla lotta, è un retaggio difficile da raccontare ai diciassettenni di oggi. Ancor più difficile dire che Marco Pontirol Battisti è spirato nel sagrato della chiesa di S. Michele Tiorre (PR) con al collo un fazzoletto rosso che lo rendeva partecipe di un progetto etico-politico, declinato sulla libertà e la giustizia sociale, che aveva condiviso con i suoi amici. Come Marco, Giordano Cavestro, 19 anni, moriva davanti ad un plotone di esecuzione, lasciando agli amici una lettera: «Io muoio, ma l’idea vivrà nel futuro, luminosa, grande e bella». Anche Attilio Derlindati e Bonfiglio Tassoni, in un estremo tentativo di salvare le famiglie che li avevano nascosti ed i compagni che erano con loro, si consegnarono al fuoco tedesco. Uno aveva 21 anni, l’altro 24. Un’altra raffica di una mitragliatrice tedesca falciò sette compagni del comando della 47ª Garibaldi: tra essi il vice-commissario politico Brunetto Ferrari, di 27 anni. Questi e tanti altri giovani, che erano stati studenti del Liceo classico Romagnosi di Parma, sono morti, consapevoli che il loro sacrificio avrebbe portato «libertà e giustizia agli operai e alle loro famiglie», come si espresse G. Barbieri, anch’egli ucciso per rappresaglia nella centrale piazza Garibaldi.
Come dire ai giovani di oggi che si può morire per vivere e si può vivere come se si fosse morti?
La lapide che davanti alla presidenza del liceo ricorda i caduti per la libertà nella lotta contro il nazifascismo sembra rimandare ad una storia inconciliabile con quella dei giovani studenti di oggi, che vi passano davanti la mattina, senza riconoscervi le proprie radici.
Lungo quell’abisso che separa i giovani liceali di oggi da quelli di allora, la ricerca storica condotta dagli studenti stessi al Liceo Romagnosi di Parma ha tuttavia teso un filo: quello della dimensione della scelta, «intimo accordo di ciascuno con se stesso» (R. Battaglia), compiuta da altri studenti, che sessant’anni prima hanno pregiudicato, a volte irreversibilmente, un borghese orizzonte, fatto di prospettive certe e consolidate.
Quando l’11 ottobre 1945 V. Arangio Ruiz, ministro alla Pubblica Istruzione, invitò a redigere un albo d’onore con i nomi degli insegnanti caduti per la causa della libertà, era consapevole che tra essi vi era Pilo Albertelli, trucidato a Roma alle Fosse Ardeatine, di cui egli stesso fu insegnante di filosofia proprio al liceo Romagnosi.
Così, quando il 25 aprile 1947 il professor Ferdinando Bernini, autorevole membro dell’Assemblea Costituente, presenziò allo scoprimento della lapide dedicata ai caduti al Liceo Romagnosi, era consapevole che alcuni dei giovani, che avevano perduto le loro vite, erano stati suoi studenti. Certamente gli insegnamenti ricevuti sui banchi del liceo erano ancora vivi, quando quei giovani scelsero la via della montagna e con generosità seguirono quell’«impulso etico di coraggio civile» che li spinse verso la scelta resistenziale.
Questo è stato compreso dagli studenti di oggi: che su quegli stessi banchi di scuola, pur in circostanze drammatiche e in un contesto dominato da forze sovrastanti, tra alcuni docenti, antifascisti in una scuola fascista, e alcuni studenti, che la scuola fascista avrebbe voluto fascistizzare, la cultura classica e umanistica, su cui si erano legati, forniva le uniche parole di libertà che potessero essere udite.
Queste parole divennero sovversive, insegnando l’esercizio critico del pensiero, la forza di resistenza alla realtà.
Non è un caso che intere porzioni di classi, provenienti dal corso B, dove operavano proprio quei docenti, scelsero da quale parte stare.
L’opzione «per tanti ragazzi», come ha giustamente scritto A. Portelli, è avvenuta «sul piano dell’etica e dell’estetica». È stato questo il filo che ha consentito ai giovani d’oggi del nostro liceo di riannodare il presente al passato: l’orizzonte di senso che la cultura, ieri come oggi, può costituire.
Questo è bene che la scuola non lo dimentichi.
* docente di filosofia e storia Liceo classico Romagnosi
di Parma