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Unità: La maturità e il senso smarrito della scuola

Marina Boscaino

20/06/2007
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l'Unità

La «notte prima degli esami» si è conclusa. Come ogni anno mi trovo a provare a riflettere sull'esame di stato. E mi risulta sempre più difficile individuare linee di interpretazione che mi convincano davvero. Sinceramente, l'impressione è quella di imbattersi in un evento ciclico ineludibile - le fasi lunari, il compleanno, la finale del campionato di calcio - che perde progressivamente, anno dopo anno, di naturalità, festosità e di solennità. E viene vissuto e archiviato come un rituale un po’ stantio. La ricerca di senso - di un senso smarrito anche nel tentativo di perpetuare modelli che hanno funzionato in un passato lontano, ostinatamente adattati al presente, ma miopi rispetto al cambiamento dei tempi - che caratterizza questi giorni, questi anni difficili della scuola italiana, investe anche l'esame di stato - la maturità come si diceva una volta. Perché tanto pessimismo? Perché un'analisi critica richiede innanzitutto la ricerca di autenticità, la risposta occhi negli occhi, la leale consapevolezza della necessità di un esame spregiudicato del reale. E il reale oggi ci parla di una scuola che ha vissuto - in bilico tra indifferenza e delusione - la conclusione dell'anno-ponte con la mestizia della constatazione di una promessa non mantenuta. E allora anche la novità dell'esame di stato - l'abolizione della commissione interna che la Moratti aveva individuato come estrema frontiera della sua inguaribile necessità di risparmiare da una parte e di onorare le scuole private dall'altra - per quanto animata da una volontà condivisibile di restituire dignità all'ultima propaggine del rito, può essere letto come il colpo di coda di quella tendenza scomposta e pericolosa a non pensare la scuola come un sistema complesso e organico, ma come un insieme di microsistemi semplici che possono essere governati a botte di improvvisazione. Beninteso.
In questa materia il ministro Fioroni, davvero, non ha alcuna responsabilità: l'intento è encomiabile. È la visione di insieme che deprime. Ed è una visione che affonda le proprie radici in un passato lontano, rispetto al quale questa sesta rivoluzione nella storia della maturità - benché, ripeto, animata da finalità condivisibili e certamente dalla giusta penalizzazione dei diplomifici - passerà o permarrà senza lasciare traccia significativa. Mi spiego: l'impressione è - sempre e comunque - che si pensi all'esame di stato come ad un evento sostanzialmente scollegato dalla scuola reale. E che alla scuola reale non si pensi affatto. Un esempio: l'incursione del '900, sollecitazione culturale e stimolo alla riflessione e alla comprensione dell'oggi, continua ad essere un annuncio, un'etichetta suggestiva, che trova scarsa concretizzazione nelle pratiche scolastiche, compresse in percorsi disciplinari su cui da troppo tempo non si mettono le mani. Ancora: il falso egualitarismo nel somministrare prime prove identiche per tutti gli ordini di istruzione secondaria, che non fa altro che sottolineare il gap di prestazioni tra gli studenti del liceo e quelli dell'istruzione tecnico-professionale, umiliati - gli uni e gli altri - da tracce le cui sollecitazioni spesso a stento riescono a essere colte (nella loro talvolta cervellotica complessità) dagli esaminatori stessi. In un paese che non riesce a formulare una convincente ipotesi di biennio unitario, né a sanare la tradizionale divaricazione tra sapere e saper fare. L'incapacità di prevedere poi una necessaria riflessione - dentro e fuori la scuola - rispetto al rapporto tra cultura alta e cultura bassa, nell'arroccamento su una linea difensiva di saperi che - di fatto - risultano il più delle volte icone impraticabili; per la mancanza di volontà di parlare seriamente di prima formazione degli insegnanti, di formazione in servizio, di incentivo e premio per chi lavora meglio e di più, di competenze rispetto alla mediazione e alla relazione educativa: linee guida di un'identità professionale che sta perdendo contorni, troppo spesso si sta sbiadendo in una condizione di approssimazione, di buon senso, di dilettantismo che apre il varco a leciti dubbi su dove inizi l'arbitrarietà dell'attacco mediatico; e dove, invece, si annidi e ramifichi la malascuola che pure, indubbiamente, c'è.
La scuola diventerà sempre più indifendibile finché si continuerà a tacerne la debolezza, in una patetica istanza di finta uguaglianza tra gli insegnanti, di rifiuto di elaborare criteri di valutazione che evadano da griglie pensate per/da altri paesi, per/da sistemi educativi differenti dal nostro. E probabilmente anche la composizione delle commissioni - più che puntare all'inserimento di professori esterni - dovrebbe basarsi sul rafforzamento della capacità degli insegnanti interni di evadere dalla tentazione di assumere consolanti e semplificati ruoli genitoriali, puntando su una professionalità e un'autorevolezza che - insieme alla capacità di gestire il rapporto educativo - sono le migliori garanzie di successo formativo e di valutazione completa. Come in ogni rito che si rispetti anche quest'anno la circolare ministeriale vieta l'uso delle tecnologie. Ma, come ogni anno, tutti sappiamo che verso le 8.30 di questa mattina le tracce della prima prova saranno disponibili sulla rete. Sarà bene - presto o tardi - fare i conti con l'attrazione e la familiarità delle nuove generazioni con le tecnologie, per convogliarne le competenze in attitudini differenti dalla violazione della norma.
Negare la percezione di queste e di tante altre contraddizioni sarebbe irresponsabile e semplicistico. Il primo punto è: la funzione (educativa, didattica, culturale, etica) della prova; il secondo è: l'efficacia di questa specifica prova, così come è concepita. Così distante dalle reali e talvolta asfittiche prospettive della scuola; così intransigente nel delineare una conclusione di un percorso al quale occorre mettere mano rapidamente, rischio la paralisi o l'estinzione. In un sistema burocratico che non è riuscito a prevedere nomine sufficienti o adatte a coprire le necessità. Con una classe docente - alternativamente - demotivata, disorientata, inefficace; o, al contrario, competente e responsabile ma irresponsabilmente abbandonata a principi come buona volontà o volontariato, che con i diritti dei lavoratori hanno poco a che fare.
Il rito abbia inizio: ai 120mila tra commissari e presidenti e ai circa 500mila studenti al lavoro questa mattina un in bocca al lupo. Con la speranza che le prospettive della nostra scuola cambino prima che la consunzione prevalga definitivamente.