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Unità: La Pace inizia dai Bambini

Quali potranno essere i benefici per le prossime generazioni se oggi ancora una volta provassimo a mantenere la promessa di una scuola aperta a tutti?

11/04/2008
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l'Unità

Charlotte Petri Gornitzka

Save the Children

Provate ad elencare alcuni dei problemi che i bambini debbono affrontare in tutto il mondo. Provate, non è difficile: disastri naturali, guerre, povertà, fame, mancanza di insegnanti e di scuole, pericoli legati allo sfruttamento e alle violenze sessuali.
U
n intreccio inestricabile di problemi.
Il primo giorno da segretario generale di Save the Children, la più grande organizzazione privata del mondo nel campo della tutela dell’infanzia, cioè a dire appena tre settimane fa, non erano pochi i problemi sui quali concentrare la mia attenzione.
Ma desidero ricordare solo un momento di quel primo giorno e un paio di questioni tra loro collegate che vanno al cuore dell’importanza che i bambini hanno per noi tutti.
Quel mattino fui accolta da una buona notizia proveniente dall’Uganda e non potei fare a meno di pensare al semplice potere dell’istruzione e al modo in cui l’istruzione è strettamente e inestricabilmente legata alla complessità dei problemi e delle soluzioni riguardanti le guerre che si combattono in ogni parte del mondo.
La notizia proveniente dall’Uganda era quella della firma di un patto di pace che, in caso di sviluppo positivi, avrebbero potuto aprire la strada ad un vero e proprio trattato di pace entro la fine di marzo. Era l’occasione che aspettavamo per riportare la pace in una regione devastata da oltre 20 anni di conflitto.
Quando appresi la notizia pensai a quanto diverso avrebbe potuto essere il destino dei bambini ugandesi in caso si fosse arrivati a firmare un trattato di pace. Oltre 30.000 bambini sono stati costretti a combattere negli ultimi venti anni nell’Esercito di Resistenza del Signore i cui soldati oggi sono all’80% bambini.
Quando appresi la notizia riandai con il pensiero all’ultima volta che ero stata in Uganda, nel 2006, e avevo conosciuto Apiyo Molly. Era stata violentata durante la guerra e mentre mi raccontava quanto le era accaduto nascondeva il viso per la vergogna. Tuttavia, malgrado le sue tremende esperienze, aveva ancora un sogno: diventare una insegnante. Apiyo sapeva di non poter cambiare il suo passato, ma l’istruzione rappresentava la sua speranza per il futuro.
Apiyo naturalmente non è sola nella sua tragedia - queste non solo solamente vicende del passato. Recentemente siamo stati profondamente turbati dalle violenze in Kenya. Due mesi dopo l’esplosione della violenza 270.000 persone vivevano nei campi profughi e 90.000 bambini keniani era nell’impossibilità di frequentare la scuola. Una ragazza keniana, di nome Maria e di appena 13 anni, ha detto ad una collega: «Voglio andare a scuola, ma la gente dice che se andiamo a scuola ce la bruceranno…. Se qualcuno mi portasse a scuola ci andrei. Mi piace moltissimo studiare».
In quel momento mi sono ricordata delle ragioni per cui sono qui, del perché i miei colleghi di Save the Children ed io ci alziamo la mattina pensando ai bisogni dei bambini. Lo facciamo per tentare di realizzare i sogni di bambini come Apiyo e Maria e per garantire l’istruzione pur in circostanze terribili. (In Kenya di recente abbiamo distribuito 8.000 kit per la scuola ai bambini sfollati e abbiamo intenzione di aiutarne altre decine di migliaia.)
E mi sono anche ricordata dell’importanza di quello che diciamo - dei rapporti che scriviamo e delle cose che diciamo. Sulla mia scrivania c’era il nostro nuovo rapporto Where Peace Begins (NdT, Dove inizia la pace). Leggendolo non potevo non notare che lo stretto legame tra istruzione e guerra non esisteva solo per Apiyo.
Ecco cosa dice una bambina che frequenta la scuola elementare in Liberia: «Quando sei istruito puoi pensare con la tua testa. Puoi capire che la guerra non è la migliore delle soluzioni possibili. Puoi risolvere i problemi e farti un’idea tua perché la guerra è sempre frutto di malintesi».
Vi sembra ingenua, non è vero? Ma è molto meno ingenua se si pensa ai legami potenzialmente distruttivi tra istruzione e guerra. Mi sono venute in mente queste parole di un bambino del Ruanda: «Ricordo che a scuola avevamo paura. Ci dicevano “i Tutsi alzino la mano”. Ma noi avevamo paura di alzare la mano perché i Tutsi venivano sempre descritti come serpenti e i serpenti sono pericolosi e quindi vanno uccisi. È una cosa che non riesco a dimenticare perché a scuola si è ripetuta ogni anno per sei anni consecutivi».
Altre testimonianze documentano il legame tra istruzione e guerra e interessanti indicazioni ci vengono anche dagli accordi di pace. Nell’accordo di pace sottoscritto in Burundi nel 2000 si riconosce che «una delle cause della violenza e dell’insicurezza in Burundi… va individuata nel sistema discriminatorio che non garantiva parità di accesso all’istruzione ai giovani burundiani a prescindere dalla loro etnia».
Le statistiche descrivono questo rapporto in modo diverso. Secondo uno studio, ogni anno in più di istruzione dei ragazzi di sesso maschile riduce del 20% la probabilità che possano finire per essere coinvolti in un conflitto. Secondo un altro studio, quello stesso anno di istruzione puo’ garantire salari mediamente più alti del 10%. Basta pensare alle trasformazioni che hanno avuto luogo dopo la guerra in Vietnam e in Corea e al ruolo chiave svolto dall’istruzione.
La lunga esperienza di Save the Children dimostra che esiste il medesimo rapporto tra istruzione, da un lato, e pace e ripresa, dall’altro. Nel 1988 abbiamo iniziato ad aiutare gli ex soldati-bambini del Mozambico a rifarsi una vita. Cinque anni fa siamo tornati in Mozambico per vedere come se la cavavano. Quelli che avevano beneficiato del nostro aiuto avevano una vita più felice, avevano famiglie piu’ stabili, lavori migliori e sentivano in misura minore i traumi del passato rispetto a quanti non avevano ricevuto alcun aiuto dalla nostra organizzazione. I benefici hanno anche avuto una ricaduta sulla generazione successiva: il 75% dei loro figli e delle loro figlie andavano a scuola - una volta e mezzo la media dei bambini del Mozambico.
Ma quanto è riconosciuto questo rapporto? È troppo facile dimenticare che quando arriva la pace l’istruzione di buon livello è tutt’altro che garantita. Abbiamo preso in esame gli accordi di pace stipulati dalla fine della guerra fredda e abbiamo scoperto che quasi in un terzo dei casi di istruzione non si parla nemmeno. Anche quelli che accennano al problema dell’istruzione lo fanno in maniera insufficiente o sbagliata.
In Bosnia, malgrado la pace e l’incremento delle scuole, i bambini sono divisi per etnia e entrano a scuola da ingressi diversi a seconda della loro appartenenza etnica. Nelle classi, di conseguenza, imparano versioni diverse della storia e ciò non fa che rafforzare le divisioni prodotte dal conflitto. Tutto questo perché non si riconosce l’importanza dell’istruzione e della scuola.
Per quale ragione, quindi, l’istruzione non è considerata una priorità nel momento in cui in un determinato Paese si costruisce la pace? In che modo possiamo far sì che l’istruzione diventi una priorità in rapporto alla pace?
Non abbiamo ancora tutte le risposte a queste domande e quindi Save the Children sta stimolando un dibattito globale per trovare le risposte - una consultazione mondiale da oggi fino alla Giornata Mondiale della Pace a settembre. Vogliamo che governi nazionali, istituzioni internazionali, ONG e cittadini di ogni parte del mondo si impegnino a trovare una soluzione comune per finanziare e promuovere l’istruzione nei Paesi tormentati dalla guerra dove 37 milioni di bambini non frequentano la scuola.
Anche se non abbiamo tutte le risposte, in quel mio primo giorno mi è capitato di pensare che in fondo noi tutti, insieme, abbiamo già la maggior parte delle risposte. Nei nostri Paesi, appena due generazioni fa, dopo la seconda guerra mondiale, riconoscemmo l’importanza dell’istruzione e ne facemmo una colonna portante della ricostruzione di società pacifiche e uno strumento indispensabile per sconfiggere la povertà. Sessanta anni fa, quando fu scritta la Costituzione italiana, i costituenti promisero che «la scuola è aperta a tutti». Con determinazione quella promessa è stata mantenuta.
Possiamo trovare risposte adeguate per quanto riguarda i legami tra istruzione, guerra e pace?
Quali potranno essere i benefici per le prossime generazioni se oggi ancora una volta provassimo a mantenere la promessa di una scuola aperta a tutti?
Provate a rifletterci per un momento.
* * *

Charlotte Petri Gornitzka
è segretario generale dell’International Save the Children Alliance
Traduzione di
Carlo Antonio Biscotto