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Unità: La politica al tempo della scienza

Chi decide per chi nella cosiddetta società della conoscenza, su questioni che se da un lato richiedono un alto grado di conoscenza specialistica toccano dall’altro la vita quotidiana di ciscuno?

02/11/2008
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l'Unità

GIUSEPPE TESTA

Medico e bioeticistaIl dibattito seguito all’intervento del Papa sugli scienziati si è concentrato sugli aspetti più palesemente ostili: l’accusa di avidità, che stride in un Paese in cui la professione di scienziato oscilla tra volontariato e precarietà, e l’idea che la creatività della scienza proceda in un vuoto etico.

A ben guardare però è un altro l’aspetto più insoddisfacente dell’impostazione papale. Assente da quell’intervento è il tema centrale della partecipazione democratica all’innovazione scientifica. Che vuol dire partecipazione alla scelta di che cosa vogliamo conoscere del mondo e di come vogliamo cambiarlo. Sempre di più conosciamo la vita intervenendoci dall’interno. Sono gli organismi (noi assieme a tutti gli altri) il nuovo laboratorio, l’officina dove si studia la vita guardandola dal di dentro. E più il nostro sguardo si fa molecolare, più ci consente di entrare nel processo vitale indagandolo, smontandolo, riassemblandolo. Il modo in cui stiamo leggendo la vita (per esempio come espressione del codice a Dna) è al contempo un modo per riscriverla.

Ma se la volontà di capire come stanno le cose (domanda associata all’impresa scientifica) include sempre di più l’aspetto normativo del come dovrebbero stare le cose (domanda associata all’agire politico) ecco emergere la questione democratica di come rendere questo processo “accountable”, riconducibile cioè alla deliberazione della polis. Chi decide per chi nella cosiddetta società della conoscenza, su questioni che se da un lato richiedono un alto grado di conoscenza specialistica toccano dall’altro la vita quotidiana di ciscuno? Tutti (scienziati e non) prendiamo ogni giorno decisioni usando tecnologie e conoscenze di cui abbiamo al più una comprensione superficiale. La delega cognitiva è cifra della modernità e il problema riguarda, quindi, quanto, come, e a chi i cittadini vogliano e debbano delegare.

A fronte di questa complessità, il papa invoca filosofia e teologia per dettare alla scienza la condotta morale di cui sarebbe sprovvista. Ma è un passaggio di potere tra esperti, in cui il cittadino recede nell’oblio. Scompare la polis, scompare la responsabilità di deliberare sulla vita coinvolgendo la gente in un complesso percorso di riappropriazione delle proprie scelte. Un processo che non può che avvenire in una società plurale in cui le etiche, le religioni, e anche le capacità tecnoscientifiche, sono molteplici e diverse. La soluzione non può essere cambiare le deleghe

Da qui potrebbe e dovrebbe ripartire la sinistra. Dal compito di creare un nuovo equilibrio tra partecipazione democratica e inevitabile delega cognitiva; dal bisogno di ripensare, ai tempi della vita molecolare, uno spazio pubblico in cui rendere protagonista il cittadino derubricato a ruolo di comparsa da una lettura autoreferenziale di scienza, filosofia e teologia.