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Unità-La religione è una cosa da insegnare?

La religione è una cosa da insegnare? ENZO MAZZI Dovrebbe far riflettere la sensibilità che ha indotto il mondo laico e anche parti significative del mondo cattolico a reagire criticamen...

01/06/2004
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l'Unità

La religione è una cosa da insegnare?

ENZO MAZZI

Dovrebbe far riflettere la sensibilità che ha indotto il mondo laico e anche parti significative del mondo cattolico a reagire criticamente di fronte alla notizia di un accordo che prevede una interazione fra l'insegnamento della religione cattolica e le altre discipline, siglato fra Ministero della Pubblica Istruzione e Conferenza episcopale italiana. E dovrebbe indurre a cercare i motivi seri di tali reazioni. S'indugia invece in una sterile polemica.
Chi vive nella scuola sa quanta sofferenza e quali difficoltà crea questa figura anomala dell'insegnamento cattolico. Quanti insegnanti sono messi in crisi e quanti genitori vivono con un senso di angoscia la scelta fra avvalersi e non-avvalersi. L'accordo Moratti-Ruini tende a sanare sofferenze, discriminazioni e difficoltà o è destinato ad aggravarle?
Anche chi vive l'appartenenza ecclesiale in forma non puramente gregaria conosce il dramma di un insegnamento che produce crisi di coscienza in tanti credenti sinceri.
Questa "interazione" contribuirà a superare le crisi oppure le amplierà?
C'è inoltre il fatto che il bilancio dell'insegnamento cattolico è inquietante. Su questo merita soffermarsi. Il problema è serio. Riguarda direttamente la religione, Dio e il Vangelo; ma investe la società intera: l'etica, la politica, la cultura e anche l'economia.
Il novanta per cento degli italiani di ogni età e condizione ha rapporto con un qualche tipo di insegnamento cattolico. C'è un corso di religione o di catechesi per tutte le varie fasi della vita. Ai corsi c'è da aggiungere omelie o prediche seminate ovunque: culto festivo, amministrazione di sacramenti e benedizioni, celebrazioni ufficiali di ricorrenze varie, inaugurazioni e funerali pubblici e privati. Chi vuol sposarsi in chiesa deve imparare il catechismo. Poi c'è il corso di preparazione al battesimo. I genitori che vogliono far battezzare il proprio figlio devono impegnarsi e prepararsi a dargli un'educazione cristiana. Niente impegno, niente battesimo. Il novanta per cento dei genitori accetta liberamente o subisce. Il battesimo non è solo un sacramento della fede. È anche un'anagrafe parallela. Il battesimo è una condizione per il futuro inserimento del loro figlio nella società. Il bambino non battezzato è un diverso, in una società in cui la cultura della diversità è ancora molto osteggiata.
Appena il bambino incomincia a frequentare la scuola materna è sottoposto per due ore la settimana all'insegnamento cattolico. Pochi genitori ne fanno a meno. È pura ipocrisia la libertà di scelta. In realtà tutti sanno benissimo che ci vuole eroismo per "non avvalersi". È una tortura il cucciolo fuori dal branco. E così, con le buone o con le cattive, siamo di nuovo al novanta per cento.
Non cambia molto alle elementari: due ore settimanali di insegnamento della religione per la stragrande maggioranza degli alunni. Alle medie e alle superiori le percentuali calano. Ma anche qui, tra interesse spirituale, interesse materiale e disinteresse, l'insegnamento religioso coinvolge la maggior parte degli studenti.
Con tanta dottrina la società dovrebbe essere perfetta e santa, per quanto possono esserlo le cose umane. Invece son pianti e lamenti: la società di oggi è scristianizzata, la Parola di Dio è ignorata e i valori cristiani disattesi. Più aumenta la presenza del dogma, più Dio è in ombra. Maggiore è il volume dei megafoni ecclesiastici, più tenue giunge alle persone la parola del Vangelo. Più ingrossa il fiume di danaro che la Chiesa ha a disposizione per l'evangelizzazione e minore è la forza della buona novella di giustizia ai poveri. Qualcosa non funziona. Ma cosa?
I motivi sono certamente molteplici e complessi. Non possono però costituire un alibi. E se fosse proprio questa onnipresenza ecclesiastica il nocciolo del problema? Se fosse colpa del metodo dell'insegnamento cattolico e perfino dei suoi contenuti?
È una cosa da insegnare la religione? Se la religione è innanzitutto iniziativa di Dio, come vuole la teologia, ci può essere un "magistero" dell'iniziativa divina? Molti anche credenti, perfino teologi e vescovi ritengono impossibile "insegnare" la religione. Sarebbe come pretendere di insegnare a un bambino l'amore di sua madre. Se ne farebbe una caricatura. Così è dell'amore di Dio. L'insegnamento religioso è insegnamento di un amore divino che non si può insegnare, ma che è possibile solo testimoniare con la vita.
E non basta all'autorità ecclesiastica insistere sul dogma e rifuggire da un insegnamento laico dell'esperienza religiosa dell'umanità; impedisce che una tale esperienza sia insegnata da altri. In Italia non c'è una facoltà universitaria laica di teologia. Solo l'insegnante riconosciuto idoneo dall'autorità sacra può parlare di Dio con parole di verità. E la Bibbia non può esser letta e studiata come libro di letteratura, di storia, di sapienza o di etica, senza l'assenso e il controllo dei gestori del sacro. Quando qualche anno fa il quotidiano l'Unità ha voluto pubblicare il Vangelo, si è trovato a chiedere il placet della Gerarchia ecclesiastica e a usare la traduzione della CEI aggiungendo al testo le spiegazioni della stessa. Senza l'insegnamento cattolico c'è il vuoto di educazione religiosa. È una perdita culturale e morale incalcolabile per la società intera. Il Vangelo ha bisogno di profeti e non sopporta gli insegnanti di religione. L'insegnamento della religione è oggettivamente contro il Vangelo.
Qui la contraddizione si ingigantisce. Chiama in causa lo stesso potere ecclesiastico. La gerarchia reagisce di fronte a questa parola: "potere". Non se la vuol sentire addosso. Il potere della Chiesa è definito un servizio. La parola potere non è considerata appropriata a una realtà sacra come la Chiesa. E comunque è un potere che viene direttamente da Dio in funzione della evangelizzazione e della salvezza. Questo si dice e si insegna. È legittimo quantomeno dubitarne. La spoliazione e la povertà totale, fino alla nudità della croce, non è un incidente. È la condizione permanente richiesta agli evangelizzatori. Tu devi scegliere: o il potere o il Vangelo. È una scelta troppo drastica? È vero. Nei fatti la coerenza è sempre parziale e i compromessi inevitabili. Un minimo di potere l'abbiamo tutti. Solo l'ultimo dei viventi forse ne è esente. Importante è liberarsi e liberare dal potere. Il problema del potere richiama la questione del metodo d'insegnare religione. Un potere autoritario usa inevitabilmente un metodo autoritario. Uscire dalla logica autoritaria è impossibile senza profonde riforme nella struttura della Chiesa. Non si può riformare la catechesi, ad esempio, senza riformare radicalmente il "magistero". E infatti la riforma conciliare della catechesi si è arenata. Un muro invalicabile l'ha fermata: il processo di riforma portava a intaccare l'essenza stessa del magistero. Ci sono state scomuniche, condanne ed emarginazioni. Ogni essere umano - vien detto - è sì alla ricerca della verità divina e della salvezza eterna, e qualche briciola di verità è anche capace di trovarla, ma solo il magistero possiede le risposte totali, vere e salvifiche: questo principio è in radice autoritario e fonte di autoritarismo. Ed è un autoritarismo violento, pur dietro la maschera di bontà e amore materno. Il suo amorevole abbraccio è mortale per la crescita delle coscienze. L'essere umano è e deve restare un eterno lattante, attaccato alle mammelle della madre Chiesa distributrici di verità assolute, di valori assoluti, di norme assolute. Essere depositari della verità divina assoluta, essere addirittura infallibili nell'insegnare la verità della fede e della salvezza, significa espropriare della verità chiunque altro. E soprattutto vuol dire svilire la ricerca umana.
Non potrebbe trovarsi proprio lì, nel potere, una delle cause per cui il Vangelo non arriva alle donne e agli uomini di oggi?
Scrive don Severino Pagani, rettore del Biennio Teologico del Seminario di Milano, in uno studio apparso su La Rivista del clero italiano (4 aprile 2001): "Questa (l'attuale) situazione culturale ed ecclesiale ci mostra che ci troviamo di fronte alla fine di una "pastorale del controllo totale" & Le "agenzie di religione", ad esempio le Chiese (e la Chiesa cattolica è ancora un'agenzia molto forte), non riescono più come prima a raccogliere e a organizzare nell'ortodossia e nella prassi in modo completo coloro che ad esse fanno riferimento. I pensieri, il comportamento, la coscienza morale, la nozione di verità, i meccanismi di aggregazione e di gratificazione si sono liberati dalla organizzazione ecclesiastica, che governava i tratti di una società meno complessa e monoculturale, e si organizzano in maniera più libera e individualista, attingendo a un mercato di significati e di gratificazioni più secolarizzati e neosacrali, comunque meno ecclesiastici. Ci troviamo di fronte a un nuovo assetto del vivere democratico ancora incompiuto&. La forma tradizionale della cura pastorale di questi ultimi secoli scompare inesorabilmente e, rispetto al venir meno di questa tradizione storica, si rende necessaria la gestione di una transizione che ha i tratti della "elaborazione del lutto" & ". Qualcuno pensa ancora a un recupero, a una ripresa delle forme del passato. È difficile pensare che possa avvenire. Pagani non è il solo teologo che sostiene queste cose. È infatti ormai ben radicato all'interno della Chiesa cattolica un forte senso critico nei confronti dei tentativi di tornare al vecchio Concordato che recitava all'art, 36: "L'Italia considera fondamento e coronamento dell'istruzione pubblica l'insegnamento della dottrina cristiana secondo la forma ricevuta dalla tradizione cattolica".
Moratti e Ruini sono avvertiti. Non si torna nemmeno surrettiziamete, con accordi equivoci, al tempo del "controllo totale". È meglio "elaborare il lutto". In sostanza, invece di crescere, la presenza ecclesiastica dovrebbe diminuire. Piuttosto che firmare accordi col potere civile, l'autorità ecclesiastica sarebbe meglio che si ritraesse un po'. Farebbe posto finalmente a Dio e al suo Spirito. La "solidarietà" primigenia del cristianesimo, e forse di ogni religione, è con i senza-potere anzi con i colpiti dal potere. Solo all'interno di una tale solidarietà costituzionale il "servizio" alla Parola di Dio cesserà di essere ostacolo alla evangelizzazione.