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Unità: La scuola e l’anno della memoria

Uno spettacolo miracoloso e commuovente: la scuola e una speranza. Un rigurgito di partecipazione e passione che impegna e responsabilizza ancora di più che vuole ascoltare voci, chi vuole guardare quei visi.

18/04/2006
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l'Unità

Marina Boscaino

Walter Veltroni, durante un incontro con le scolaresche, ha ricordato come il Comune di Roma intenda suggerire alle scuole la celebrazione non del giorno, ma dell’anno della memoria: vale a dire la vigilanza incessante dell’esercizio del ricordo quale monito permanente affinché non si ripetano gli errori del passato. Certamente la Shoah, la persecuzione e il tentativo di annientamento sistematico e totale di donne e uomini ebrei, si è conclusa 61 anni fa. Ma l’Italia e il mondo ci hanno dato e continuano a darci piccoli, grandi e grandissimi segni che occorre non abbassare la guardia. Che il pericolo, l’insidia ancora esistono. In Ruanda, a relativamente pochi chilometri da casa nostra, nella lotta tra hutu e tutsi, sono morti un milione di ruandesi su una popolazione di 8 milioni di persone: un genocidio. E la nostra vita continuava a scorrere tranquilla, senza lasciarci altro che il tempo di alzare solo per un attimo un occhio distratto su quell'indicibile massacro. Molte scuole di Roma, tra cui quella nella quale insegno - il Liceo Classico Plauto - aderiscono da tempo all'iniziativa; che quest'anno, significativamente, estende il proprio titolo tradizionale - Noi ricordiamo - con «Memoria, Resistenza, Liberazione, Costituzione: nasce la Repubblica Italiana». Domani, presso il Complesso del Vittoriano, verrà inaugurata la grande mostra dei lavori realizzati dagli studenti. La memoria, il ricordo sono il collante che tiene insieme eventi e valori fondanti della nostra storia. Come ha evidenziato Nello Rossi, consigliere della Corte Suprema di Cassazione - durante un incontro tra gli insegnanti coinvolti nel progetto e i magistrati dell’Anm - è stata anche la memoria del loro recente passato a dettare ai costituenti i principi che informano la nostra Costituzione, perché quel passato non si ripetesse mai più. La necessità del ricordo è oggi più forte che mai: l’oltraggio sistematico di molti di quei principi e la modifica a colpi di maggioranza di intere parti della Costituzione ce lo hanno ricordato. L’incontro con il presidente Ciampi prima, la visita alla Corte Costituzionale e il contatto con magistrati che - insieme a tanti insegnanti - stanno dimostrando con passione e impegno civile l'importanza di potenziare un rapporto costante delle istituzioni con il mondo della scuola sono stati e saranno momenti importanti per tanti ragazzi romani, per le persone e i cittadini che diventeranno.
«Noi ricordiamo» è stata l’occasione per una serie di incontri significativi, che sono seguiti alla visita di alcuni studenti in campi di lavoro e di sterminio; quest’anno ad Auschwitz. Testimoni privilegiati - con il diritto-dovere della testimonianza presso i compagni che non erano con loro; ragazzi che hanno raccolto nei luoghi della storia disumana la pesante eredità dei reduci che li hanno accompagnati. Si sono accompagnati, ragazzi e sopravvissuti - l’oggi e l’allora - si sono fatti compagnia nel faticoso e terribile percorso di quella memoria, di quelle memorie. Furio Colombo e Aldo Pavia dell’Aned, due degli ospiti di una delle iniziative che il Plauto ha organizzato, hanno raccontato ad una platea di adolescenti muta e appassionata come il silenzio colpevole di tanti italiani abbia fatto della Shoah un delitto anche del nostro Paese.
«Cosa c’entriamo noi» mi chiederete: Furio Colombo ha interrotto tante volte il filo della sua riflessione, rivolgendo questa domanda ai nostri alunni. A rammentare loro che non si tratta di un dramma circoscritto in uno spazio e in un tempo lontani, per il quale ci commuoviamo profondamente, ma che rimane il segno e il senso di un mondo altro, di un mondo in bianco e nero. È qui, è adesso che dobbiamo lavorare perché i milioni di morti che nessuno e nessuna legge potrà mai riportare in vita abbiano un valore ulteriore per noi che siamo vivi. E dobbiamo lavorare sulla nostra dignità di persone e di cittadini per non essere più sopraffatti da indifferenza, codardia, conformismo, paura e silenzio comodo e colpevole: ciò che ha reso possibili anche in Italia le leggi razziali, senza le quali l’universo concentrazionario non avrebbe potuto esistere.
Si ha l’impressione, facendo il nostro lavoro, che dei giovani si tenda a dare spesso un’immagine distante dalla realtà. Le persone della mia generazione non si stancano di ripetere che noi eravamo diversi. Eravamo diversi in tempi diversi. Noi tutti migliori, loro tutti peggiori? O non sarà forse che nella gioventù, nella gioventù di tutti i tempi, si esprime il meglio e il peggio di una società? E non è forse meno problematico, per molti adulti, pensare a questi ragazzi come ai fedeli interpreti di un mondo dominato dalla logica del reality e dal disimpegno? La verità è che, contraddicendo questa immagine che rimbalza soprattutto dalla scatola magica dell'ipnosi e dell'atrofia del cervello, molti di questi ragazzi chiedono cose grandi. Basta volere e sapere intercettare la loro richiesta; basta ascoltarli. E ci stupiremo: io mi stupisco e mi emoziono tutte le volte di quello che sono in grado di fare, di quanto abbiano voglia di capire e di partecipare. Ma positivo e negativo convivono, si annidano ovunque e in ogni momento: non sono forse giovani quelli che in una domenica invernale hanno offerto allo stadio la disgustosa evocazione di simboli di morte, la macabra rappresentazione della resistenza di immagini, parole e progetti criminali? In nome della gioventù, dei presunti diritti, delle licenze che ad essa si accordano si rischia di archiviare come “ragazzate” fenomeni inquietanti di sottosviluppo mentale e culturale, reati inammissibili che minano alle fondamenta qualunque parvenza di civiltà, di legittimità. E di diventare, per superficialità, per pressappochismo, complici del reato. I soliti grilli parlanti del giorno dopo sottolinearono - allora come innumerevoli altre occasioni - le mancanze della scuola. Tutti parlano dell'importanza della scuola; lo psichiatra che scrive il libro sui giovani, ne critica le modalità educative e organizzative; il criminologo famoso, il sociologo, ma anche l'uomo qualunque: tutti a gran voce richiamano l'attenzione sul ruolo che la scuola dovrebbe avere nella prevenzione del crimine, del reato; delle tossicodipendenze; della diseducazione civica e sentimentale; e poi dello stato di insoddisfazione di alcuni giovani, della loro mancanza di motivazioni. Eppure la scuola, con le sue risorse economicamente quasi nulle (e con lo scarsissimo coinvolgimento che opinione pubblica, analisti, mondo politico hanno ostentato rispetto al suo destino) riesce, se solo lo vuole, attraverso le proprie inesauribili energie “buone” - la volontà, la passione, il volontariato di tanti operatori - ad incidere sul tessuto sociale e sull'educazione al vivere civile in maniera straordinaria Avrei voluto che almeno uno degli scettici di turno lavorasse per qualche ora con me e i ragazzi alla realizzazione del Cd ideato per la mostra: poche risorse, mezzi tecnici limitatissimi, tanto impegno, un risultato straordinario. O che fosse stato presente quando nell'Aula Magna del Plauto, in un quartiere di periferia, lontano dai circuiti delle scuole “storiche” del centro, sono volate idee: grandi, forti, capaci di cambiare le vite, le persone. Idee che credo rimarranno impresse nel Dna di molti ragazzi più di qualsiasi mirabile lezione di greco, di latino, di matematica, pure essenziali nella definizione di ciò che essi saranno, diventeranno. Sono volate le idee di due uomini e grandi intellettuali. E sono esplose le idee dei ragazzi, la loro passione: hanno avuto cose grandi e hanno risposto a modo loro, alla grande. Uno spettacolo miracoloso e commuovente: la scuola e una speranza. Un rigurgito di partecipazione e passione che impegna e responsabilizza ancora di più che vuole ascoltare voci, chi vuole guardare quei visi. Adesso molti dei nostri ragazzi sanno ancora meglio cosa c’entrano.