Unità: Largo ai privati, decideranno su tutto. Problema affollamento
Le perplessità dei tecnici, i dubbi sul ruolo delle Fondazioni Il rischio di avere anche 600 docenti per facoltà. E su tutto anche le parti condivise, l’incubo dei soldi, che non ci sono
Senza soldi non si canta la Messa, è il detto. E senza soldi la decantata riforma dell’Università varata ieri andrà da nessuna parte, secondo gli esperti. Una riforma che introduce pesantemente nella gestione il ministero dell’Economia, senza che sia chiaramente definito il margine di competenze, rispetto a quelle del ministero dell’Istruzione, Università e ricerca. Il rischio vero è che si riduca l’autonomia universitaria, dal momento che sono aperte le porte all’ingresso di privati nei consigli di amministrazione. E nella foga propagandistica di ridurre i corsi universitari, si limita a dodici il numero di facoltà sia negli atenei delle grandi città che in quelli più periferici con meno iscritti. Secondo Rino Falcone, ricercatore dell’Istituto Scienze e tecnologie cognitive del Cnr, membrodel coordinamento dell’Osservatorio della Ricerca, già collaboratore del ministro Fabio Mussi, ci sono parecchi punti di criticità nella riforma Gelmini (o meglio, Gelmini-Tremonti, con relativi complimenti paternalistici del secondo ai «giovani ministri crescono»). Falcone osserva che sono state raccolte alcune indicazioni dell’ex ministro Mussi: il codice etico che eviti i passaggi di cattedre per via parentale e l’incompatibilità per conflitto d’interessi; il mandato temporaneo per i rettori (non più di due per un massimo di otto anni); la riduzione dei settori scientifico-disciplinari. E, nonostante Mariastella Gelmini inizialmente aveva detto di non volerla adottare, è stata varata l’Agenzia di valutazione (introdotta da Mussi con un decreto poi convertito in legge) per la valutazione delle università e degli enti di ricerca, la cui attuazione richiede tempi molto lunghi, e finanziamenti. I punti critici: «la messa sotto tutela del ministero dell’Univerità e ricerca rispetto al ministero dell’Economia », osserva Falcone, «che dovrà autorizzare molti interventi», quindi si prevede un’influenza forte del Tesoro sulla vita degli atenei, al di là delle competenze di spesa. E basti pensare ai tagli sui precari attuati nella scuola da Gelmini per conto di Tremonti. Atenei privatizzati. Un punto «preoccupante», secondo Falcone è «la possibilità che si offre ai privati di contribuire significativamente alle decisioni strategiche delle università con l’ingresso nei Cda di almeno il 40 per cento di esterni con competenze gestionali-amministrative». Il che si tradurrà in un «travaso di poteri » dal Senato accademico ai Cda. Università come aziende, quindi, tanto più con l’ampliata possibilità per gli atenei di trasformarsi in Fondazioni private (prevista per legge l’anno scorso). La porta aperta ai privati dà il via ai tagli di fondi alle università, ed il rischio è «un deterioramento del tessuto di conoscenza del paese», intaccando unsistema che è ancora considerato forte sul piano internazionale, prova nei sia la fuga di cervelli. Sulle fondazioni, lo storico di destra Franco Cardini scrisse su Il Secolo nel luglio 2008 che tale trasformazione sarebbe stata «il passaggio da una concezione culturale comunitaria a una patrimoniale e privatistica del sapere», da una università di tutti con i suoi limiti a una «costosa università per ricchi », salvando forse alcuni atenei privatizzandoli, ma mandando «a farsi benedire il diritto allo studio: o meglio, lo studio come diritto». Facoltàsuperaffollate: La riduzione indifferenziata a 12 facoltà per tutte,sembra scriteriata: avverrà che «La Sapienza» di Roma avrà le stesse 12 facoltà dell'università di Urbino, arrivando, nel caso di Roma,a dei mostri con 600 docenti per facoltà. Dei mega organismi nei quali sarà impossibile prendere qualsiasi decisione collegiale. Ricercatori: se l’introduzione della «tenure track» (tre anni di contratto e un rinnovo di tre anni previo seconda valutazione, e poi l’eventuale assunzione come professore associato) allinea l’Italia agli altri paesi, secondo Falcone un altro punto critico può venire dalla «duplicazione delle modalità di reclutamento». Ovvero, se parallelamente resta in vigore l’attuale sistema, il concorso sulla base dell’abilitazione nazionale, ci sarà una pericolosa duplicazione di sistemi. E permane il rischio dell’ingresso pilotato previo raccomandazioni e favoritismi. Insomma, la riforma al momento è solo abbozzata, lo stesso testo completo non è reperibile, al di là della «copertina» illustrata nel Consiglio dei ministri, e bisogna vedere cosa succederà con i decreti attuativi. Ma, nell’insieme, ne risulta una «chiara riduzione dell’autonomia universitaria, e uno schema più dirigista» degli atenei stessi, conclude Falcone.