Iscriviti alla FLC CGIL

Home » Rassegna stampa » Rassegna stampa nazionale » Unità:Laureati e umiliati

Unità:Laureati e umiliati

Margherita ha 27 anni, una laurea in architettura, è reduce da contratti a progetto per sei mesi a 600 euro. Lavorava come altri dipendenti, con lo stesso orario d'ufficio, le stesse scadenze precise.

24/04/2006
Decrease text size Increase text size
l'Unità

Bruno Ugolini

Margherita ha 27 anni, una laurea in architettura, è reduce da contratti a progetto per sei mesi a 600 euro. Lavorava come altri dipendenti, con lo stesso orario d'ufficio, le stesse scadenze precise. Troviamo il suo racconto su una pagina de Il Giorno di Lecco. Ad ogni scadenza il contratto era rinnovato, con la promessa di futuribili assunzioni. Un’umiliazione. Ora ha un contratto a termine presso uno studio d'architettura. Speriamo vada meglio. Max, 33 anni, invece fa il medico. 52 esami di medicina, sei anni di specializzazione, da due anni assistente in un reparto di chirurgia generale, in ospedale privato convenzionato. Una professione raccontata nella rubrica del Corriere della Sera (Dalla parte del cittadino) a cura di Giangiacomo Schiavi. Il dottor Max denuncia così come l'ospedale sia diventato un'azienda, il malato un fatturato, il giovane medico un manovale da spremere senza dargli garanzie. Il suo è un contratto libero professionale, senza malattia, pensione, ferie e tutela legale. Una situazione che, racconta, toglie la serenità, azzera la passione e distoglie l'attenzione dal malato. Conclude chiedendosi se sia giusto che «ai giovani medici ai quali è affidata l'enorme responsabilità di prepararsi a curare i mali del futuro non si debba regalare un presente lavorativo migliore». La risposta di Schiavi non lascia adito a speranze: «Se sta cercando il posto fisso ha sbagliato epoca». E spiega come oggi non ci siano soldi, sia necessario ridurre gli sprechi. E con i contratti a termine si risparmia. Ma è proprio vero che non c'è nulla da fare? Mario Valvassori, presidente Od&m (società di consulenza direzionale per la valorizzazione delle risorse umane), interrogato da Il sole 24 ore a proposito di un rapporto sulle retribuzione variabile in particolare dei professionisti, ha osservato come le aziende non siano in grado di proporre percorsi di carriera e vita. Assoldano questi trentenni «con uno dei famosi 42 contratti a disposizione senza progetti di crescita». Ma in tal modo «la motivazione e il livello di responsabilità del lavoratore restano più bassi di quanto potrebbero». E allora è chiaro che il prossimo governo di centrosinistra non potrà non mettere le mani in un mercato del lavoro così aggrovigliato e gonfio d'ingiustizie. Certo, non si può pretendere che l'Unione (una coalizione, non un ente unico) trasformi la propria capacità di governo in una specie di dittatura del proletariato, in grado di cancellare in un batter d'occhio le iniquità ereditate dal centrodestra, legge 30 compresa. Anche perché cancellare non basta. I disagi, come abbiamo visto, non colpiscono solo i pony express o i lavoratori dei call center. E non si risolvono togliendo di mezzo questi posti di lavoro. Servono nuove soluzioni, magari guardando ad un ruolo contrattuale affidato ad associazioni sindacali. Queste dovrebbero rappresentare i guardiani capaci di impedire che nei luoghi di lavoro allignino le radici della precarietà.

Il discorso riguarda anche la sorte di professionisti come Federica e Max (ma eguali racconti potremmo trovare tra giornalisti, notai, avvocati...). Il destino di costoro è stato affrontato in un recente e interessante volume di Giovanni Battafarano (vice-responsabile professioni del dipartimento lavoro e professioni dei Ds) e Nunzio Leone (esperto di diritto del lavoro).

Il nostro Paese, spiegano gli autori di Dialoghi sul lavoro (Scorpione Editrice), è diventato territorio di conquista da parte di società di consulenza, grandi studi professionali in forma societaria, banche d'affari. Sono ormai diventate ben 155 le nuove professioni. La proposta non è quella di «abolire» (torna la parola magica) gli Ordini professionali, bensì di rinnovarli profondamente. Tra i propositi: riconoscere le nuove professioni e loro associazioni; aiutare i giovani praticanti professionali capaci e meritevoli, ma privi di un forte sostegno familiare, ad entrare nella professione ed affermarsi; qualificare il praticantato attraverso esperienze formative all'estero; riconoscere loro un equo compenso, commisurato all'effettivo apporto all'attività professionale. Sono proposte assai vicine a quelle avanzate insieme da Cgil, Cisl e Uil. C'è da aggiungere che lo stesso Prodi ha voluto affermare a suo tempo non la volontà di abolire gli Ordini, ma di riformarli. Affinché possano garantire concorrenza, evoluzione, progresso delle professioni e, soprattutto «dare spazio ai giovani». Molte delle attuali regolamentazioni, infatti, rendono lentissimo l'ingresso della nuova generazione. Il rischio, paventato dallo stesso Prodi è che le strutture professionali straniere possano finire «col conquistare il nostro Paese». Nasce da qui l'urgenza di quella riforma che il centrodestra non ha saputo fare.

brunougolini@mclink.it