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Unità: Le stagionali dell'istruzione. Ma non sono immigrate

Ogni anno vanno da Sud a Nord per insegnare. Perché serve a loro e serve alle scuole di là. E lasciano figli anche piccoli. Per lavorare

13/09/2010
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l'Unità

Emanuela Valente

Pronto? Buongiorno Sorella, chiamo per sapere se c’é ancora disponibilità di una stanza nel vostro pensionato ». «Mi spiace, è tutto pieno, lei è un’insegnante?». Lo sanno, già lo sanno le suore del pensionato di Cremona, senza bisogno di controllare il curriculum vitae. Ledonne che chiamano per avere una stanza sono solo insegnanti, al massimo qualche infermiera, e hanno tutte l’accento del sud. Si chiamano Sonia, Claudia, Giulia, hanno dai trenta ai quarantacinque anni ed hanno vinto il concorso da precarie. La sera si ritrovano nel salone, davanti alla piccola televisione, e parlano dei figli che hanno lasciato a casa, in Sicilia, in Calabria, in Puglia, in Basilicata. Giulia ha due figlie, la più grande inizia quest’anno la prima elementare. Ha fatto appena in tempo a comprarle la cartella, ma non ci sarà il primo giorno di scuola perché la sua campanella suonerà a quasi mille chilometri di distanza. Sonia invece ha lasciato il piccolo Luca con la nonna, cercherà di prendere il treno ogni venerdì sera per risalire a Cremona la domenica e vedere quel figlio che ancora non parla ad intervalli di settimane in cui crescerà in fretta. E Claudia di figli ne vorrebbe ma non ne ha né sa quando potrà averne, finché lei e suo marito, sposato cinque anni fa, vivranno ogni anno per dieci mesi in città diverse e casuali, senza alcuna possibilità di un reddito sicuro e di un futuro stabile. Sono queste le donne della nuova migrazione, quella che dal meridione trasporta per dieci mesi all’anno centinaia di donne nelle piccole province del nord. Crema, Cremona, Lecco, Sondrio le città in cui è più facile ottenere un posto in graduatoria. Perché nelle ricche cittadine dove un posto in azienda è quasi sempre garantito, nessuno sceglie di fare un lavoro instabile e malretribuito come quello dell’insegnante. Allora arrivano le nuove braccianti dal sud, le infaticabili operaie del sapere, le stagionali della cultura che seminano e raccolgono nelle umide pianure settentrionali quel germe dell’istruzione che sembra ormai aver perso ogni valore e che sarà invece l’unica vera ricchezza di quelle terre. Per farlo lasciano Luca, Vittoria, Salvo e Matteo. «Mi sento come le peruviane, le rumene, le russe: lascio i miei figli per allevare quegli degli altri e mandare i soldi a casa», dice Giulia. «La sera è molto triste -aggiunge Claudia- ti guardi intorno e vedi tante donne giovani, tante mamme, che condividono una solitudine fatta anche di discriminazioni che credevi sorpassate ed anacronistiche. Il freddo che sentiamo qui non è solo climatico. Due anni fa un bambino di terza elementare mi rispondeva in dialetto e quando gli ho chiesto di parlare italiano mi ha risposto che neanche il mio accento era italiano». E c’è chi pensa di unire l’Italia con un ponte.