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Unità: Liberiamo i Giovani

Il dato anagrafico preso per sé non significa nulla, ne siamo convinti: la novità si regge invece sull'innesto di una nuova costituzione di valori, di miti, di spinte ideali, sul ceppo di una generazione «nuova», cresciuta dopo il 1989.

24/04/2006
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l'Unità

Michele Fiorillo

Noi e la politica

Caro Direttore, dopo l’attesa e sofferta vittoria dell’Unione ci sembra importante riportare al centro della riflessione politico-culturale il tema delle nuove generazioni, il cui ruolo determinante è stato sintetizzato da molti commentatori nella formula di generazione dell’Ulivo. Mentre la campagna elettorale stava per entrare nel vivo, avevamo letto con entusiasmo un articolo di Michele Ciliberto (l’Unità del 14 marzo) intitolato «Arrivano i nuovi giovani». Ciliberto aveva ragione: un ciclo si è esaurito, e sta maturando un patrimonio di idee e di energie nuove.
Un patrimonio radicato in una prospettiva generazionale, irriducibile ad una semplice successione biologica. Il dato anagrafico preso per sé non significa nulla, ne siamo convinti: la novità si regge invece sull'innesto di una nuova costituzione di valori, di miti, di spinte ideali, sul ceppo di una generazione «nuova», cresciuta dopo il 1989. La fine del ‘secolo breve’ oltre a concludere un'epoca ha segnato anche un nuovo inizio, ha schiuso delle possibilità che ci stanno di fronte, e che vorremmo poter inchiodare sul nostro cammino. Più Europa come comunità nuova e solidale. Più Europa come spazio comune di responsabilità politica. Più Europa come risorsa globale di stabilità, di legalità, di diritti. È questo il germoglio che non dovremmo disperdere e che rappresenta un messaggio universale anche per l'Italia. A distanza di vent'anni però il nostro paese è sospeso ancora nel limbo di una transizione senza fine, che comincia ad avere, ed avrà sempre più, effetti devastanti sulle prospettive generali di crescita e di rilancio del paese. E questo sta producendo anche nelle «nuove generazioni» - il settore più agile e dinamico delle nostre società - incertezza, insicurezza e disagio sociale. Noi ci sentiamo in dovere di chiedere a chi assumerà la sfida del governo, di rilanciare con forza la missione europea dell'Italia, di alzare la posta in gioco per scongiurare che l'Europa si sfasci o arretri. Sentiamo di poter dire che questa è la premessa essenziale per far rinascere il paese e garantirgli un futuro. Da qui discende per noi un senso di speranza insopprimibile, è cosi che sta maturando quello che Ciliberto definiva mutamento morfologico.
«I nuovi giovani» riflettono da tempo sui temi del ricambio generazionale, dello sviluppo economico, e considerano la questione generazionale una vera e autentica questione nazionale. L'Italia, è superfluo ricordarlo, è un paese ad altissimo tasso d'invecchiamento demografico: questo da un lato è certamente sintomo di grande civiltà, è il risultato di decenni di sviluppo e di conquiste sociali, è espressione del fatto che l'Italia è un paese con livelli altissimi di qualità della vita, per sanità, previdenza e protezione sociale. Dall'altro però questo patrimonio ha subito a partire dalla fine degli anni Settanta un profondo deperimento e un logoramento strutturale, ed ha bisogno di molte riforme, d'interventi correttivi. L'Italia è un paese che invecchia, si riproduce e deperisce. Abbattere gli ostacoli che si frappongono all'ingresso nel mondo del lavoro, della ricerca e delle professioni, sostenere e agevolare il credito e l'imprenditoria giovanile, creare un sistema di valutazione che faccia del talento, del merito, delle capacità individuali, il criterio principale per il reclutamento nelle pubbliche amministrazioni; erodere l'impasto di condizionamenti che si oppongono alla piena realizzazione della persona, costituiti dalla famiglia d'origine e dall'area geografica d'appartenenza. Non dimentichiamo che in questo quadro di rigidità sorgono nuove disegualianze: se nel 1975 gli appartenenti alla fascia di popolazione lavorativa con i salari più alti guadagnavano almeno 2.5 volte più dei lavoratori appartenenti alla fascia di reddito più bassa, nel 2002 questo stesso coefficiente, è salito al 4.6. Nel nostro paese, la quota di persone che si laureano non raggiunge ancora il 20%, e questo dato va confrontato con percentuali del 40-50% dei paesi anglosassoni. Oggi chi nasce in una famiglia operaia, in una delle tante periferie italiane, del Sud e del Nord del paese, ha meno della metà delle possibilità di progressione sociale di quante non ne avesse nella metà degli anni Cinquanta. Rilanciare l'istruzione, investire nella ricerca, rafforzare la circolazione del sapere, appaiono in questo momento tanto più necessari perché sono dei canali fondamentali per compensare l'appartenenza a gruppi socialmente svantaggiati. Vorremmo che queste fossero le priorità da cui muovere per la coalizione che si propone l'obbiettivo di modernizzare l'Italia.
Le politiche per la «liberazione» di una intera generazione sono soltanto un aspetto del problema italiano, poiché l'altro è inesorabilmente costituito dal sistema politico, dalla sua struttura, dal suo sistema di reclutamento e di finanziamento. Se un partito nuovo nascerà, come tra mille incognite noi auspichiamo, dovrà essere un soggetto di «tipo nuovo» e di rango europeo, che sia capace di una visione nuova in Italia. Abbiamo ancora molto da imparare dai paesi come la Spagna e dalle socialdemocrazie del Nord Europa. Non ci interessa invece la risultante di una «fusione fredda» tra le tradizioni della prima repubblica. Abbiamo bisogno di un soggetto che modifichi radicalmente i sistemi di selezione interna del personale politico (attraverso strumenti democratici come le primarie applicate a tutti i livelli), per evitare di ripetere in futuro l'indecoroso spettacolo della formulazione delle liste bloccate che ci è stato servito da ultimo. Un partito «aperto», che si assuma la responsabilità di avvicinare i cittadini alla sfera delle decisioni pubbliche, che sappia cogliere la dinamica di una società che si proietta nella dimensione globale e multiculturale.
La sfida del governo è insomma promessa di futuro. Sia detto con altrettanta chiarezza però: questo patrimonio di idee, allo stadio germinale potrebbe andare disperso se le nostre élites cadessero nell'errore di trascurarlo come un fastidioso ronzio. È per questo che invitiamo non solo i leaders politici ma soprattutto i giovani - delle associazioni culturali e non governative, dei gruppi universitari, delle organizzazioni politiche - a prendere posizione e ad arricchire la discussione che si è aperta sulle colonne de l'Unità. Se ai «nuovi giovani» spetta l'ardua e complessa sfida di ringiovanire l'Italia altrettanto elevato è il rischio pendente di riscoprirsi adulti senza essere cresciuti.
Benché le città invecchino e muoiano come gli uomini - scriveva Platone nel Politico - può darsi tuttavia che decrepite o morte tornino alla vita o alla giovinezza per opera umana.

*A nome delle due associazioni di cultura «Ilcontesto» e «La Città Futura» (www.lacittafutura.it), nate nel 2002 per iniziativa di studenti e ricercatori della Scuola Normale Superiore, della Scuola Superiore Sant'Anna e dell'Università di Pisa, con collaborazioni da altri centri universitari italiani ed europei. Il contesto (www.ilcontesto.it) è anche una nuova rivista di analisi critica culturale e socio-politica distribuita in tutta Italia.


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