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Unità: Libri e motorini aggiustano la scuola

di Beppe Sebaste

21/02/2007
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l'Unità

Libri e motorini aggiustano la scuola

di Beppe Sebaste
«Come interessare, come motivare i ragazzi di oggi? Esempio: aggiustare un motorino, oggetto che i ragazzi amano e usano molto. Partiamo dal motorino, da un’officina, da un laboratorio, e non dalla scuola. Usando questo metodo di apprendimento ci vogliono insegnanti molto preparati, cha da lì sappiano poi risalire alle leggi della fisica e della matematica, alle letture collegate, anche letterarie, e così via...». Sembra un brano di Lo Zen e l’arte della manutenzione della motocicletta, l’ormai classico romanzo di Robert M. Pirsig, dove in effetti era questione di ricucire (oggi si chiamerebbe visione olistica, anticartesiana) quella divisione dei saperi, a partire dalla capacità di leggere e soprattutto di capire le istruzioni per montare qualsiasi congegno, dall’aquilone di carta al tostapane. Ma è l’esempio cui ricorre un viceministro alla Pubblica istruzione molto pragmatico, Mariangela Bastico (laurea in Scienze politiche, per anni docente di Diritto e economia nelle scuole superori, poi assessore alla regione Emilia-Romagna), per dire la sua visione della scuola nel governo dell’Ulivo: la scuola di tutti, la scuola del «non uno di meno».
Parliamo di valori o, se si vuole, di filosofia. Qualcuno diceva che, giustamente, la scuola deve anche insegnare le cose inutili. Cioè la capacità di elaborare le esperienze, oltre alle informazioni, oltre al saper fare e al «sapere» tout court. In una società in cui tutto congiura per la perdita della nostra memoria, o perché ci appaia un solo perpetuo presente, come una televisione che non viene mai spenta, occorre, ricordava Edgar Morin (in Una testa ben fatta), non solo una riforma della scuola, ma una riforma dell’insegnamento, e a monte di tutto questo una «riforma del pensiero». Mariangela Bastico, così pare, per esempio ha letto Morin. Ma lo conoscono anche i suoi colleghi politici, ovvero sanno di cosa stiamo parlando? E quanto realmente si vuole investire sulla scuola, sulla cultura, sull’apparentemente inutile?
«Credo che la scuola dovrà avere una definizione sempre più chiara della sua mission, perché sappiamo che non è l’unica agenzia educativa. Se nel passato c’era da un lato la famiglia con la trasmissione del sapere diffuso, e la scuola che ti faceva andare oltre, oggi abbiamo un sistema sociale in cui le modalità di acquisizione dei saperi sono infinitamente vaste. Ma di cosa si deve occupare quindi la scuola? Essa ha il compito di istruire, di fornire quei saperi e quel sapere fare che configura alcune abilità specifiche, che sono la base delle relazioni umane e sociali. Deve “specializzarsi” sul terreno dell’istruzione per formare le persone, costruendo un percorso educativo con grande libertà e autonomia didattica dei docenti. Noi dobbiamo indicare i livelli di apprendimento per tappe, ma anche alcuni snodi chiari, di contenuto interdisciplinare e trasversale. Penso per esempio all’insegnamento della Shoah, dove si fanno esperienze didattiche di grande valore interdisciplinare, con un lavoro sulla memoria, grazie all’ausilio di testimoni, con un’etica della responsabilità, ecc. La scuola è una priorità. Ma perché alla fine diventa sempre accessoria, come la cultura? Perché sono investimenti che non si vedono. Non è come costruire una strada, un edificio, poi tagliare il nastro. Sul sapere delle persone si investe su qualcosa di invisibile, oltre che distante nel tempo, e spesso investire sull’istruzione va oltre la vita e l’orizzonte di coloro che lo fanno. C’è una ricchezza etica in questo investimento. In una società del tutto e subito, un investimento così richiede politici lungimiranti, capaci di prescindere da sé, dalla visibilità e dal tornaconto immediato».
Il tema è caldo, tanto che venerdì e sabato si svolgerà a Modena il convegno L’Ulivo cambia la scuola. Parole e fatti per la scuola di oggi e di domani, che, come dice Mariangela Bastico, sarà «un contributo di merito nel cammino della costruzione del Partito democratico, perché la scuola, il sapere, l’istruzione, sono i terreni forti per il suo cammino. È indispensabile trovare temi e modalità che interessino una grande area di persone, e non c’è dubbio che la scuola, l’istruzione, sia elemento fondamentale per i diritti delle persone, anzi un diritto fondante della persona. Oggi chi non è istruito rischia una reale emarginazione dalla cittadinanza stessa, e l’Italia non può permettersi di perdere nessuna energia intellettuale, perché il suo futuro economico e sociale è legato alle competenze delle persone».
Diceva il Programma dell’Unione: «investire in sapere conta rispetto alla qualità della vita di ognuno di noi ben più che ridurre le tasse... I costi del sapere sono incomparabili con i costi che l’ignoranza fa pesare sul Paese». E anche: «la scuola è garanzia di democrazia ed ha nella Costituzione la sua via maestra». Ma si sta davvero avviando, questa riforma della scuola?
«Noi - risponde il vice-ministro - stiamo provando a dare attuazione a questo principio, vogliamo una scuola pubblica, di qualità, e che non lasci indietro nessuno. Vogliamo portare tutti i ragazzi, non uno di meno, a un livello di istruzione superiore. Già questo distingue una strategia politica di centro-sinistra rispetto a quella della Moratti, che voleva dividere precocemente, a 13 anni, quelli che vanno al liceo e quelli che vanno alla formazione professionale. Noi vogliamo l’accompagnamento di tutti ragazzi verso un livello di istruzione superiore, e bisogna essere molto concreti e credibili nel dire le modalità per raggiungerlo, in un momento in cui stanno calando i livelli di fiducia nella politica. Abbiamo scelto una strada più pragmatica rispetto allo smantellamento della riforma Moratti, la strada dello smontarla pezzo per pezzo per sostituirla con norme alternative ma che si applicano pezzo per pezzo. Ora è necessario far vedere la costruzione. È un modo sicuramente più efficace dal punto di vista dei tempi di attuazione (un disegno organico che sarebbe ancora depositato in una qualche commissione del Parlamento) ma occorre anche far vedere la nostra strategia politica e culturale» Cosa è stato fatto finora? «Una norma già in vigore è l’innalzamento dell’obbligo dell’istruzione a 16 anni, che smonta la scelta precoce e discriminatoria del governo precedente. Tutti i ragazzi hanno almeno un biennio di istruzione superiore, poi a sedici anni diventa più pertinente e autonoma la scelta, e la prima uscita è quella della qualifica professionale, prima dell’eventuale diploma quinquennale. Il secondo punto forte è il ripristino dell’istruzione tecnica e professionale. La licealizzazione voluta dalla Moratti era separata da un percorso professionale - divisione che perdura nel nostro sistema scolastico ereditato da Gentile, e corrisponde a una divisione tra sapere teorico e manualità. Ma da tempo va sostenuta invece un’idea di cultura che intrecci il sapere con un saper fare, ed è impensabile un sapere che non abbia capacità di applicazione, né un sapere che non nasca dall’induzione, dalla democratica sperimentazione. La separazione tra una licealizzazione da una parte e una manualità dall’altra è non solo sbagliata, ma anche profondamente classista».
«Il biennio obbligatorio deve soprattutto evitare la dispersione dei ragazzi - continua Bastico -. In fondo già oggi circa il 96% si iscrive alla scuola superiore, e quindi l’obbligo è quasi attuato (anche se l’obiettivo resta il 100%), ma il vero problema è come tenere, mantenere i ragazzi dentro l’obbligo scolastico anche dopo l’iscrizione, far sì che non vengano ripetutamente bocciati (sopratutto nei tecnici e professionali i livelli di bocciatura oscillano intorno al 30-35%, con molti abbandoni). Alcuni ragazzi non riescono a stare in classe e ad apprendere dalle normali modalità? Applichiamo, partendo dal biennio, diverse modalità di apprendimento, con utilizzo maggiore di laboratori, un apprendimento anche fuori dalla scuola e dalle aule, una concretezza nell’apprendimento, di carattere induttivo e non deduttivo, in modo da riuscire a cogliere l’interesse dei ragazzi e insieme le loro diverse intelligenze. Il saper fare, la concretezza, deve essere usato dall’insegnante di questa scuola dell’obbligo come lo strumento attraverso il quale pervenire a livelli di sapere fondamentali. Questi sono i punti comuni per qualsiasi indirizzo, dal classico al professionale».
E c’è anche da accogliere il crescente disagio degli insegnanti. «Proprio gli insegnanti che si sono spesi di più oggi vivono una condizione di disagio, incertezza, difficoltà. Sentono che il loro insegnamento è sempre meno appreso dai ragazzi, si sentono distanti e inascoltati. Questo disagio rivela la differenza enorme tra i ragazzi di oggi e quelli di ieri. Oggi vivono in un mondo radicalmente diverso da quello in cui siamo cresciuti noi, più soli in famiglie più sole, composte al massimo da due genitori (la famiglia allargata era un soggetto educativo più rassicurante, con più trasmissione). Nello stesso tempo oggi i ragazzi sanno per altre vie molto di più di quello che sapevamo noi, hanno fonti di apprendimento extra-scuola straordinariamente numerose, dai mass-media all’informatica. Ma l’impostazione culturale della scuola è ancora legata al passato, e deve fare lo sforzo di recuperare questo cambiamento sociale stratosferico anche nelle modalità di apprendimento e nelle impostazioni culturali, deve rivedere se stessa nell’ottica di questi cambiamenti e delle nuove esigenze, senza perdere la propria missione: cioè di istruzione, ma con una strumentazione che riesca ad accogliere questo cambiamento. La politica serve a questa riflessione, che noi investiamo anche sulla scuola media, sulla scuola dell’infanzia ed elementare. Occorre una rivisitazione dei contenuti culturali e degli obiettivi. Per le superiori abbiamo già indicato il ripristino dell’istruzione tecnica, e nel post diploma, oltre al percorso universitario, ipotizziamo un altro percorso che dia completamento all’istruzione tecnico-professionale».
Ultimo argomento, il potenziamento dell’educazione degli adulti, a fronte di una richiesta sempre più variegata e massiccia di cultura. Cosa ne pensa il viceministro? «Nella finanziaria - ci risponde - abbiamo reso l’educazione degli adulti parte integrante dell’ordinamento nazionale dell’istruzione, cosa importantissima che risponde a un progetto strategico e risponde alle indicazioni europee, che riconoscono l’istruzione fondamentale lungo tutto l’arco della vita. Siamo in un Paese in cui il livello di istruzione degli adulti è molto più basso che negli altri paesi europei, per cui pensiamo a un grande investimento nelle scuole serali. Non si tratta solo di un ri-aggiornamento, di un rientro in formazione, dell’acquisizione di un sapere culturale che serva a cambiare lavoro. Ma di recuperare un apprendimento culturale non professionale, gratuito, legato al patrimonio delle persone. L’analfabetismo degli adulti incide sul rendimento dei ragazzi, perché non sono in grado di accompagnarli nel percorso di istruzione. Ricordiamoci quanto la scuola pubblica ha fatto nel dopoguerra…».

LIBERA, PUBBLICA E CONCRETA: mutuate dalla Carta Costituzionale, queste tre qualità sono i fondamenti di una educazione che formi tutti gli adulti di domani. Ne parliamo con il viceministro all’Istruzione, Mariangela Bastico