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Unità: Mussi: «È la strage dei ricercatori perderanno il posto a migliaia»

La politica del centrodestra sembra voler chiudere le porte del futuro.

20/10/2008
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l'Unità

di Maristella Iervasi / Roma

Anche Fabio Mussi come ministro dell’Università è stato contestato dagli studenti. Ma è con la Gelmini che la Pantera è tornata in libertà, a «ruggire» rabbiosamente in tutti gli Atenei italiani. La ministra di Forza Italia in compagnia del duo Tremonti-Brunetta ha messo letteralmente la ricerca «in mutande» - come recita lo slogan del movimento anti-Gelmini. E Mussi ne svela i retroscena. «Il ministro ha detto che l’Università rischia la fine di Alitalia? Lo dice - sottolinea l’esponente di Sinistra democratica - per nascondere altri fatti ancor più gravi: la liquidazione di un’intera generazione di ricercatori. È in atto un olocausto di migliaia e migliaia di persone».

I ricercatori in Italia sono circa 70mila tra pubblico e privato. E oltre la metà di questi è precario. In tutti i campi: dalla ricerca medica e farmacologica all’Aids; dal campo sociologio a quello chimico e matematico. Il decreto 133 non solo ha ridotto il turn over del 20% e ha tagliato con l’accetta il finanziamento pubblico di un miliardo e mezzo ma ha anche «chiuso» il rubinetto già risicato delle stabilizzazioni e ha scritto la parola fine sui contratti flessibili. Risultato: «Stiamo perdendo la meglio gioventù - sottolinea Mussi -. E francamente non so proprio come potrà continuare a reggersi la nostra ricerca scientifica in queste condizioni. Nonostante i bassi investimenti finora si erano mantenuti livelli d’eccellenza, ma adesso... Addirittura i finanziamenti specifici per enti di ricerca sono stati trasferiti pari pari sull’operazione Ici. Che disastro!».

Andiamo con ordine e leggiamo per benino il contestatissimo 133. L’articolo 49 del decreto norma il lavoro flessibile nelle pubbliche amministrazioni. Di fatto è stato scritto ex novo per sostituire l’art.36 del decreto 165 del 2001, quello che introduceva il lavoro atipico ed estendeva quello flessibile in tutte le amministrazioni pubbliche. La «correzione» di questo norma stabilisce che le pubbliche amministrazioni «non possono ricorrere all’utilizzo del medesimo lavoratore» nell’arco di un quinquennio. «Il che vuol dire - precisa Mussi - che i precari di tutti gli ambiti lavorativi restano a spasso. Non possono più essere impiegati come lavoratori flessibili e non verranno neppure stabilizzati».

L’ultima Finanziaria Prodi conteneva una regola analoga ma consentiva per l’Università e la ricerca delle eccezioni. Ad esempio: se i contratti attingevano da fondi europei o per aree sottosviluppate si potevano rinnovare. La legge di bilancio 2007, all’articolo 519, consentiva inoltre la stabilizzazione di un certo numero di precari nelle pubbliche amministrazioni o il finanziamento per un piano straordinario di assunzione di ricercatori nelle Università ed enti di ricerca. Ed infine era stato istituito un fondo di 20-40 e 80 milioni di euro in 3 anni per l’Università e la ricerca. Le Università potevano quindi indire bandi di concorso per nuove assunzioni, circa 4mila. In pratica, Stato e gli Atenei co-finanziavano i posti. «Un regolamento innovativo - sottolinea l’esponente di Sinistra democratica -, ma la bocciatura della Corte dei Conti arrivò a crisi di governo aperta...». Il governo Prodi aumentò lievemente anche i fondi ordinari. «Da ministro mi battei in maniera furibonda, - ricorda Mussi, tuttavia un aumento ci fu.».

Tutto questo oggi con trio Tremonti-Gelmini-Brunetta è letteralmente sparito. Niente più norme per le stabilizzazioni dei precari, i contratti flessibili non si possono rinnovare per legge, la scure Tremonti si è abbattuta oltre che sulla scuola anche sugli Atenei, tagliando un miliardo e mezzo nei prossimi 3 anni. «Per migliaia e migliaia di giovani ricercatori precari - precisa Mussi - non c’è alcuna aspettativa di un futuro: è stato messo uno stop al rinnovo dei contratti a tempo determinato o flessibile. E per queste persone non c’è alcuna possibilità di concorso».

Tanti i quesiti aperti. «Che fine hanno fatto i soldi del fondo per i ricercatori che sono ancora a bilancio? si domanda Mussi -. Perchè si è scelto di buttare fuori un’intera generazione di giovani»?. E ancora: «Chi farà ricerca in Italia? I vecchi prof e i neo laureati a gratis?».

Per l’Università e la ricerca, pubblica e privata, l’Italia spende meno del 2% del Pil. Lo Stato spende il 20-30% in meno dei paesi europei, del Nord America e anche dell’Asia. Le imprese italiane in ricerca e innovazione spendono mediamente meno della metà delle loro consorelle europee. Nonostante tutto i nostri ricercatori a livello internazionale sono valutati terzi al mondo per produttività procapite. Insomma, fino ad oggi l’Italia spende una miseria (è 32esima nella classifica mondiale per formazione superiore e ricerca) e tuttavia ottiene risultati brillanti. La politica del centrodestra sembra voler chiudere le porte del futuro.