Unità-Negli occhi dei ragazzi il futuro è una paura
Negli occhi dei ragazzi il futuro è una paura Luigi Galella Ai Consigli di Quinta si è parlato dell'andamento didattico della classe. Ad alcuni di noi insegnanti è parso mediocre; ad altr...
Negli occhi dei ragazzi il futuro è una paura
Luigi Galella
Ai Consigli di Quinta si è parlato dell'andamento didattico della classe. Ad alcuni di noi insegnanti è parso mediocre; ad altri pessimo, ad altri ancora disastroso. I nostri volti erano improntati a un che di serioso e grave. Ma la nettezza delle critiche, forse, rivelava un elemento di inconsapevole deresponsabilizzazione. Come se attraverso l'estrema severità delle parole potessimo prendere le distanze dall'esito poco felice dei nostri sforzi. Nella voce che si impennava e nelle teste che si scuotevano, sconfortate, si poteva avvertire una determinazione accorata, un prestarsi all'opera razionale della critica con un investimento del cuore. Ma la lingua era tagliente e fredda, come se alla preoccupazione dovesse accompagnarsi una necessaria inflessibilità di giudizio.
Il giorno dopo, in classe, mi rivolgo ai ragazzi e spiego la situazione. Non va. La lamentazione è collettiva, certo con sfumature diverse qui e là, ma... E mentre parlo li osservo. Alessandro, altissimo e dinoccolato, si dondola sulla sedia sfiorando il muro, con lo sguardo fisso verso di me. Ma i suoi occhi in realtà sembrano persi nel nulla. Francesco ha abbassato la testa sul banco, ammutolito, pensoso e contrito. E a Ferdinando ho intravisto per un attimo correre sul volto inebetito un accenno di paura, che tuttavia anziché sconfinare nel panico si è immediatamente convertito in distacco e rassegnazione. Come se in un istante avesse elaborato e già dimenticato una sconfitta.
Qualche volta, coi ragazzi, mi capita di parlare del futuro. Quello prossimo, che li riguarda. Tra i maschi alcuni sognano di fare il calciatore. Se si parla del loro sport preferito si illuminano. Ti raccontano delle squadre in cui giocano, dei mister... Può accadere che immaginino di entrare in uno stadio gremito, la domenica pomeriggio, non sugli spalti ma in campo. Il calcio è una passione violentissima e vorace, che li divora. Eppure, anche tra i sognatori più ingenui, si può facilmente ritrovare il sentimento che non ce la faranno. È come se il futuro, anche quello dei sogni, fosse stato loro sottratto. Perché? "Perché ci vogliono le amicizie per sfondare", rispondono con il sorriso eloquente di chi sa come va il mondo. Bisogna conoscere...
Andrea, che è ripetente, ha abbandonato l'espressione sornione, che la miopia rende indecifrabile e che di solito nasconde dietro gli occhiali. E anche lui, che sembra impermeabile a qualsiasi giudizio, appare in difficoltà. Arretra di fronte alle accuse, e gira la testa a destra e a sinistra, come se orientando lo sguardo sugli altri potesse scaricare su di loro ogni responsabilità. Io intanto continuo la mia breve, dura relazione e misuro le loro reazioni. Di difesa, di istintivo scantonamento, di muta accettazione. Con gli occhi ora sgranati, ora ripiegati in basso, quando li invito a considerare i nuovi doveri che l'ultimo anno implica, in vista del domani. E trovo rassegnazione e disincanto. Che spiega bene il motivo per cui la vocazione universitaria oggi sia così depressa: i ragazzi non ne vedono il senso, lo sbocco. È questo il problema: il futuro e la sua labilità. Se li guardo in viso, lo capisco. I loro occhi si incrociano ai miei, interrogandomi, quasi incalzandomi. Chiedendomi conto, infine, di ciò che io pretendo da loro, in un gioco di responsabilità che si rimpallano. Come se il futuro, in fondo, altro non fosse che una richiesta che ne riflette specularmente un'altra. E che oggi, da entrambe le parti, non sa ricevere risposta.luigalel@tin.it